Due persone potranno vedere con gli occhi di Lucio Parenzan. Il grande pioniere della cardiochirurgia pediatrica, scomparso il 28 gennaio a 89 anni, ha donato le cornee. Avrebbe voluto mettere a disposizione tutti gli organi, ma le condizioni di salute e l'età non gliel'hanno permesso. Un ultimo gesto di generosità per lui che da sempre si è battuto per convincere non solo i bergamaschi ma tutti gli italiani a donare gli organi e permettere così a tanti malati di cuore, di fegato o di reni di ritornare a vivere con un trapianto.

Ridare la vita agli altri era la sua "missione": nella sua lunga carriera ha fatto 15 mila interventi su grandi e piccini, anche neonati di poche ore, e 350 trapianti di cuore. Ma soprattutto ha allevato una squadra di cardiochirughi di eccellenza. Amava chiamarli "i miei ragazzi". Nel corso degli anni sono diventati primari in vari ospedali continuando a mettere in pratica gli insegnamenti del maestro: amore per la medicina, semplicità e massima disponibilità nei confronti di chi si rivolgeva a lui come ultima speranza.

Grazie a lui i viaggi della speranza in America o Inghilterra, tanto diffusi fino agli anni Settanta, erano diventati ormai un ricordo. Non si fermava mai, non riusciva a stare con le mani in mano neppure quando per limiti di età fu congedato dagli Ospedali Riuniti che aveva fatto diventare un centro mondiale per la cardiochirurgia pediatrica, fondando anche una scuola internazionale che ha insegnato la cardiochirurgia ad almeno 500 medici extracomunitari. Aveva continuato a lavorare alle Cliniche Humanitas Gavazzeni dal 1998 al 2008, poi si era impegnato nel sociale collaborando con Emergency dell'amico e allievo Gino Strada in Africa andando a lavorare lì. E a 87 anni si era rimesso in gioco, spinto dalla moglie Laura, madre dei suoi quattro figli per la quale stravedeva, come volontario all'Opera San Francesco per i Poveri (OSF) di Milano. Il suo motto, o meglio il suo incitamento ad aiuti e collaboratori era "ndemo, ndemo, che 'l sol magna le ore" in puro dialetto istriano.

Nonostante abbia passato gran parte della sua vita a Bergamo, Parenzan, infatti, era nato nel 1924 in Istria, a Comeno in provincia di Gorizia, oggi Slovenia, figlio di un medico condotto e di una maestra. Poi la famiglia si trasferì a Pirano e da qui lui, a dieci anni, andò a Firenze al Collegio degli Scolopi dove frequentò fino al primo anno di università. «Poi passai a Padova. Erano gli anni della guerra e per mantenermi agli studi mi toccò anche vendere il sale. A Pirano c'era una forte produzione e nel Veneto c'era una grande richiesta per la lavorazione degli insaccati. Acquistavo il sale in Istria e lo vendevo a Padova e lì compravo scarpe che rivendevo a Pirano. E intanto facevo il guardiano di notte alla "Casa della madre e del fanciullo". Poi arrivò Tito e scappai a Trieste. Alla fine riuscii a laurearmi in medicina» raccontava nelle sue interviste. «Avevo già la tesi pronta quando affrontai l'ultimo esame, quello di pediatria. Il docente mi rifilò un diciotto, l'unico della mia carriera, e mi fece promettere che non avrei mai fatto il pediatra. Io dissi di sì anche se non avevo nessuna intenzione di dargli retta. Anzi andai subito a lavorare a Milano. Tentai di fare l'ostetrico ma non trovando posto entrai nel reparto di pediatria». è lì che il giovane Parenzan comincia a maturare il suo progetto-sogno. «Scoprii che in Italia non esisteva la chirurgia pediatrica. Andai a perfezionarmi prima in Svezia e poi a Pittsburgh, in Pennsylvania, per un corso sui bambini. Era il 1958. Una sera che ero di guardia, arrivò un bambino di quattro mesi, respirava a fatica. Mentre lo ascoltavo con lo stetoscopio il cuore si fermò» ci disse nel dicembre 1984 in un'intervista pubblicata sul settimanale "Gente". «Riuscii a farlo rinvenire. Lo portammo in sala operatoria, ma in ascensore il cuoricino si fermò di nuovo ma riuscii a farlo battere ancora. In sala operatoria c'era Bob Pontius uno dei maghi della cardiochirurgia americana. Il bambino sopravvisse e in quel momento decisi la mia vita, decisi di curare anche io in Italia i bambini che soffrono del morbo blu, la tetralogia di Fallot». Da allora un successo dopo l'altro, prima come primario a Trieste, poi dal 1964 a Bergamo. «Quando arrivai qui dissi che volevo creare la chirurgia pediatrica. Tutti mi davano del matto. Ma ce la feci. Mi diedero una parte dell'ortopedia, due camerette con otto letti più un'altra stanzetta che trasformai subito in una nursery per i bambini più piccoli. E cominciai a formare la mia squadra comprando anche la prima macchina cuore-polmone a spese mie, rinunciando a un sogno, una Giulietta sprint rossa. E cominciò l'avventura. Mi davano ancora del matto perché dicevano che i bambini fino a un anno erano inoperabili, e invece dimostrammo che si poteva. Era chirurgia eroica, da pionieri, ma dimostrammo che era possibile come nel caso di un bimbo di due mesi che, affidato alla macchina cuore-polmone, restò in circolazione extracorporea per 76 minuti». Il primo trapianto nella notte tra il 22 e il 23 novembre 1985. Poi tanti bambini salvati, colpiti dalla tetralogia di Fallot (i cosiddetti bambini blu) e restituiti alla vita, e una scuola che fu definita da Albert Starr, inventore della valvola cardiaca, "il più grande centro di cardiochirurgia pediatrica del mondo". Era capace di portare a Bergamo per congressi i massimi esperti della cardiochirurgia mondiale, come Barnard, il primo al mondo a fare un trapianto di cuore. «è stato un grande direttore d'orchestra» ricorda il suo allievo dottor Roberto Tiraboschi. «A ciascuno di noi affidava una particolare patologia, ognuno si specializzava perché insieme, sotto la sua direzione, quella musica, il battito cardiaco, potesse continuare a risuonare nei pazienti».

S.O.S. I DONATORI SONO SEMPRE MENO
Lucio Parenzan è stato il primo a effettuare un trapianto di cuore a Bergamo. Poi, dal 1989 in avanti c'è stata una escalation. Fino al 2013 sono stati effettuati all'Ospedale cittadino 878 trapianti di cuore, 872 di rene, 1157 di fegato, 116 di polmone, 10 di intestino pediatrico e centinaia e centinaia di bambini e di adulti salvati. Ma negli ultimi anni il numero dei donatori è diminuito: per fare un esempio nel 2013 sono stati effettuati solo 14 trapianti cardiaci. In Italia ufficialmente ci sono un milione e trecentomila persone che si sono dichiarate disponibili al prelievo degli organi in caso di morte cerebrale e di questi ben un milione e duecentomila sono iscritti all'AIDO (Associazione Italiana Donatori di Organi) fondata proprio a Bergamo 40 anni fa. Ma come si spiega questo calo? Secondo gli esperti l'età media dei donatori si è alzata, sono meno i giovani che muoiono in incidenti stradali grazie all'uso del casco e cinture di sicurezza. Altro motivo l'autorizzazione delle famiglie: il 70% concede l'espianto degli organi dei loro cari, il 30% no. Eppure la legge prevede che venga fatta una scelta al compimento del 18° anno di età, comunicando al Comune o all'Asl la propria volontà. Altri fattori importanti sono dovuti alle tecnologie e ai farmaci più efficaci che possono evitare un trapianto. Ma intanto in lista d'attesa per avere un nuovo organo e sperare così in una vita normale sono davvero ancora tanti.

a cura di LUCIO BUONANNO