Stop alla raccolta sistematica di dati sulla religione dei ricoverati Una piccola “rivoluzione” a tutela della privacy dei pazienti

È sempre stato uso comune al momento della compilazione della cartella clinica che medico o infermiere chiedano al paziente “Qual è la sua religione?”.

Una domanda finalizzata a mettere in atto un’assistenza personalizzata e rispettosa delle convinzioni dell’interessato su pasti/alimentazione, rituali della giornata o di alcuni momenti specifici della vita, scelte rispetto a trattamenti terapeutici, gestione della salma. Almeno finora. Da qualche mese infatti le cose sono cambiate: il Garante della Privacy, con un provvedimento a carattere generale adottato a seguito di alcune segnalazioni (Garante per la protezione dei dati personali, 2014), ha stabilito infatti che le strutture sanitarie non possono raccogliere in maniera sistematica e preventiva informazioni sulle convinzioni religiose dei pazienti. Per saperne di più abbiamo intervistato gli infermieri Silvia Poli e Marco Ghidini, consiglieri del Collegio Ipasvi di Bergamo. «Si tratta di una novità importante.La raccolta di questo tipo di informazioni non risulta infatti in linea con la regole dettate in materia di privacy fin dal 2005» osserva Silvia Poli. «Già durante i lavori preparatori dello schema tipo di regolamento per il trattamento dei dati sensibili da parte delle regioni, l'Autorità aveva affermato, infatti, che le strutture sanitarie possono raccogliere dati riguardanti convinzioni religiose solo se questi sono finalizzati a garantire ai ricoverati l'assistenza religiosa e spirituale tramite i ministri di culto delle diverse confessioni religiose (bisogno di conforto o di sacramento al letto) o per la preparazione della salma nell'ambito del servizio necroscopico». Il provvedimento ha sancito quindi un’ulteriore forma di tutela per le persone ricoverate. «Le strutture sanitarie possono perseguire la finalità di assicurare un regime alimentare aderente alla volontà espressa dall'interessato, nonché quella di rispettare le scelte terapeutiche espresse in modo consapevole dallo stesso (ad esempio il rifiuto al trattamento trasfusionale nell'ambito dell'espressione del diritto a un autodeterminazione terapeutica) senza raccogliere l'informazione relativa alle religione di appartenenza» continua Marco Ghidini. «Al paziente deve essere, pertanto, consentito di esprimere tali volontà, senza che siano raccolte le eventuali motivazioni religiose che ne sono alla base. La raccolta di tali dati sensibili deve avvenire solo su richiesta della persona assistita o, qualora la stessa sia impossibilitata, di un terzo legittimato (familiare, convivente etc.). Le richieste di assistenza religiosa e spirituale possono invece essere comunicate verbalmente al personale di reparto, che provvederà a trasmetterle alla direzione sanitaria». Il provvedimento generale dell'Autorità è stato inviato alle Regioni e alle Province autonome per la divulgazione presso le strutture sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale che dovranno adeguarsi entro sei mesi dalla data di adozione del provvedimento.

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a cura di FRANCESCA DOGI

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