"Con la maratona ho battuto il razzismo"
Per anni ha corso in tutto il mondo (anche nel deserto) e ha vinto quattro volte il titolo italiano di maratona. Ora fa correre gli altri: è infatti il direttore tecnico della mezza maratona di Bergamo del 27 settembre.

Ha scelto lui il percorso: si parte dalla Fara, si va a Colle Aperto, poi si scende percorrendo le Mura Venete e si arriva in Città Bassa costeggiando i luoghi più belli e ricchi di storia di Bergamo con l’arrivo davanti al teatro Donizetti, sul Sentierone. L’anno scorso alla gara hanno partecipato 1300 atleti, un record che quasi sicuramente sarà battuto in questa terza edizione. Incontriamo il maratoneta Migidio Bourifa ad Albino dove abita con la biondissima moglie Silvia Scandola e le figlie Martina e Gaia. Capelli ricci, magrissimo. Ancora oggi che ha appena attaccato le scarpette al chiodo, si allena sulle strade della Val Seriana, anche se non fa più i 200-240 chilometri alla settimana di quando vinceva i titoli italiani. «Cerco di tenermi in forma», dice in uno splendido italiano con un po’ di cadenza bergamasca. Già, perché Migidio è nato a Casablanca 46 anni fa, ma subito dopo il papà, che lavorava in un’industria tessile a Casnigo, l’ha portato in Italia. 

E a Casnigo è cresciuto, ha frequentato l’oratorio, la chiesa come tutti i suoi coetanei e ha cominciato a dedicarsi allo sport: calcio, karatè, atletica. «Finché un giorno mio padre, dopo avermi visto giocare a pallone, mi ha posto di fronte a una scelta. “Sei troppo egoista per il calcio. Tu hai bisogno di uno sport individuale”. Mio padre. Devo a lui, che è scomparso 10 anni fa, il mio carattere. Lui è stato uno dei primi marocchini arrivati in Val Gandino 47 anni fa e subito si fece apprezzare perché era un gran lavoratore, preciso, serio, corretto. La gente gli voleva bene, lo rispettava come lui rispettava i bergamaschi. E a me ha sempre detto di rispettare gli altri. “Sei tu che non devi sentirti diverso”. Mi ha trasmesso i suoi principi morali: serietà, sacrificio, lavoro».

Migidio ascolta i consigli di papà Tahar. Scopre la corsa, il mezzofondo prima, la maratona subito dopo. Ne ha fatte una trentina in Italia, a Monaco di Baviera, Parigi, Helsinki, Giappone, Barcellona, New York. Nel 2007 diventa campione italiano a Roma, un successo che bissa due anni dopo a Treviso. Nel 2009 è anche il primo europeo a concludere la maratona di New York. Altri titoli nazionali arrivano nel 2010 a Venezia e poi tre anni dopo, a 44 anni, a Carpi. «Avevo 14 anni quando ho cominciato a correre in montagna con l’Olimpia Clusone sotto la guida di Vittore Lazzaroni, poi sono passato alla Snam con Gennaro Di Napoli. Quanti sacrifici: lavoro e allenamenti. Gareggiavo in pista nel mezzofondo, poi nel 1998 la mia prima maratona con un settimo posto a Torino. È stato proprio questo risultato a farmi prendere la decisione di fare della corsa la mia professione. Così chiesi alla ditta dove lavoravo un anno di aspettativa. E arrivano i risultati, vinco a Padova, poi a Parigi arrivo terzo ma faccio il mio primato personale in 2 ore, 9 minuti e 7 secondi. Tra tutte le maratone che ho corso è quella che mi ha dato più soddisfazioni, che mi ha catapultato sulla scena internazionale, mi ha ripagato dei tanti sacrifici e mi ha dato tanta fiducia in me stesso».

Per Migidio è la realizzazione di un sogno. Entra a far parte della Nazionale, va agli europei di Monaco dove contribuisce con il suo decimo posto alla conquista della medaglia di bronzo nella Coppa Europa. Ma la gioia per gli straordinari risultati agonistici si frantuma nel 2004 quando ha un terribile incidente stradale che gli costa la rinuncia alle Olimpiadi. «Ma non mi sono perso d’animo» racconta. «Ho reagito, tanta fisioterapia, altri sacrifici, tanti allenamenti, grandissimo impegno. Volevo tornare a correre, a essere tra i primi. La fatica non mi ha mai bloccato, ho sempre dato tutto me stesso. E ce l’ho fatta. Dopo tredici mesi di sofferenza sono tornato a correre e ho vinto la maratona di Torino a 36 anni».

Bourifa vanta diversi primati personali: è il più longevo maratoneta italiano (ha vinto infatti il quarto titolo a 44 anni) ma a conferma della sua costanza è anche il primo e unico italiano ad aver corso per tanti anni la maratona sotto le 2 ore e 12 minuti. Ma qual è il segreto? «Tanti sacrifici, tanti allenamenti e una vita da atleta: dieta mediterranea e chilometri su chilometri senza ricorrere a sostanze dopanti. Il doping è infatti un grosso problema per tutti gli sport e per l’atletica in particolare. C’è gente che ricorre all’uso degli stimolanti per ottenere risultati brillanti. Io forse ho perduto il quinto titolo italiano, arrivando secondo, perché il primo, l’ha fatto poi capire anni dopo, si era aiutato con qualche sostanza. Il doping va combattuto ma io sostengo che come in tutti i campi bisogna dare una seconda possibilità a chi viene pizzicato. Se ricade deve essere radiato senza pietà. Noi atleti dobbiamo essere d’esempio ai giovani. I veri risultati si ottengono faticando. Io mi allenavo facendo 30-40 chilometri al giorno e a 46 anni ho ancora energie da vendere».

E infatti l’anno scorso ha accettato di correre la 100 chilometri del Sahara, classificandosi al secondo posto. «È stata una sfida, io amo le sfide. Avevo visto l’edizione dell’anno prima in televisione e ho deciso di provare: un’esperienza difficile, fuori dal mondo, senza telefonini, tanta sabbia che entrava nelle scarpe. Ora mi sto preparando per un’altra sfida: il triathlon (corsa, ciclismo e nuoto) con alcuni ex campioni.»

a cura di LUCIO BUONANNO