Intervista a Enrico Robotti, primario di chirurgia plastica al Papa Giovanni XXIII che da anni va a Gaza a operare i ragazzi deformati dalle bombe. 
In sala operatoria, quando non è in giro per il mondo per convegni e dimostrazioni, ci sta tutta la giornata. Finora ha fatto oltre 7 mila interventi (in realtà sono probabilmente 9000 ma poco importa), alcuni molto complessi, altri quasi disperati. Ma non ama le interviste. Come spiega nel suo sito internet, che è stato costretto a realizzare su richiesta dei pazienti, cerca sempre di evitare un’eccessiva pubblicità personale specie televisiva e sui media. Con noi fa un’eccezione.

Non vogliamo parlare della sua attività di chirurgia plastica, di cui è primario all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, ma del suo impegno nel PCRF, Palestine Children Relief Fund “Fondo di soccorso ai bambini palestinesi”, un’associazione ONG statunitense fondata dal giornalista Steve Sosebee. Il professor Enrico Robotti, genovese di nascita, bergamasco di adozione, è uno dei massimi esperti mondiali di chirurgia ricostruttiva e di rinoplastica ed è stato presidente della Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva ed è vicepresidente della “Rhinoplastic Society Europe” oltre che docente alle Università di Milano e Torino. «Il mio impegno per i palestinesi è cominciato per caso una decina di anni fa» ci racconta. «Ero stato alcuni anni a specializzarmi negli Stati Uniti e tornato in Italia mi ha chiamato il mio maestro Armand Versaci che per me era un secondo padre. “Perché non vieni anche tu in Palestina a dare una mano? L’organizzazione è la migliore possibile” mi ha detto. Ho accettato subito. D’altronde ero già stato per quattro mesi in Bosnia durante la guerra civile, come esperto del Ministero Affari Esteri italiano realizzando un reparto di chirurgia plastica per curare i feriti. Era giusto fare qualcosa per i più sfortunati. Ho coinvolto la mia équipe e siamo andati all’European Hospital di Khan Yunis, a Gaza dove gli israeliani e i palestinesi si combattono ogni giorno, scontri che provocano decine di morti e centinaia di feriti. La prima volta, nel 2003, abbiamo operato 53 persone, soprattutto bambini con ustioni causate da incidenti domestici o che portavano visibili sul loro corpo gli esiti delle ferite causate da proiettili e bombe. Queste ustioni se non vengono trattate adeguatamente provocano vaste cicatrici, soprattutto testa e collo, tronco, con gravi problemi funzionali e deturpazioni. Prima abbiamo fatto uno screening su un centinaio di pazienti e abbiamo deciso di intervenire su quelli più gravi. Per una settimana abbiamo vissuto in pratica in sala operatoria dalla mattina alla sera con una breve pausa per il pranzo».
Tra i piccoli pazienti anche una bambina con il volto segnato da una malattia della pelle. «Riuscire a eliminare o a ridurre i danni causati da ustioni e ferite ha un’importanza anche sociale in Palestina. Una bimba con il volto deturpato difficilmente da adulta riuscirà a trovare marito» commentò allora. L’équipe bergamasca, tutta proveniente dall’ospedale attualmente Papa Giovanni, e composta nelle più recenti missioni dall’anestesista Alberto Benigni, il chirurgo Bernardo Righi e le infermiere Elisabetta Piazzalunga e Isabella Pesenti e fino all’anno scorso dal chirurgo Luca Ortelli, scomparso recentemente, (i componenti sono in realtà cambiati alcune volte e sono rimasti gli stessi nelle ultime missioni) ha effettuato quasi 500 operazioni, le ultime 27, di cui alcune ricostruttive, a Nablus un mese fa. «Scegliamo i casi più delicati» spiega il professor Robotti. «Quelli che hanno bisogno di interventi complessi, ricostruttivi, ma non tali da richiedere follow-up e tempi chirurgici ulteriori difficilmente proponibili nella realtà pratica locale. Sono quelli che operiamo per primi nella nostra settimana di volontariato così possiamo seguirli meglio durante la degenza, affidandoli poi ai nostri colleghi palestinesi che, pur non avendo conoscenze specialistiche di chirurgia ricostruttiva, hanno una solida esperienza chirurgica generale e si sono dimostrati in generale disponibili. Il post intervento è infatti molto importante per il buon esito dell’operazione».
Tra i tanti interventi che Robotti e la sua équipe hanno fatto in Palestina, il professore ne ricorda in particolar modo due recenti. Il primo riguarda un ragazzo, nato con problemi fisici che presentava un'insensibilità a un piede e aveva un’ulcerazione profonda con infezione al calcagno. Un’operazione difficile: gli hanno ricostruito il tallone e sono riusciti a farlo camminare di nuovo. «E questo ragazzo ha dimostrato una serenità e una capacità di sopportazione straordinaria come quasi tutti i bambini che operiamo» dice Robotti. «Sono purtroppo abituati a tollerare ciò che accade intorno a loro». L’altro caso è di una donna ustionata con retrazioni al collo e viso deturpanti e soprattutto che le impedivano alimentazione e movimento del collo. Le hanno ricostruito la bocca, il viso e l’hanno rimessa in sesto. Il professore ci fa vedere una serie di foto con bambini e adulti sfigurati: sono raccapriccianti. Eppure lui e la sua équipe ricostruiscono i volti, le braccia, i piedi, parte del corpo senza esitazioni e senza provare alcuna repulsione e riescono a ridare un sorriso ai loro pazienti. Come d’altronde il professore ha fatto anche in Bosnia venti anni fa quando ricuciva corpi dilaniati dai proiettili e dalle bombe. E la missione continua nelle sale operatorie di chirurgia plastica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Intanto il professore ci deve lasciare: lo aspettano in sala operatoria mentre sulla sua scrivania ci sono gli inviti e i depliant del “Fifth Bergamo open rhinoplasty course” uno dei più importanti appuntamenti mondiali dei medici di rinoplastica che arriveranno da tutti i continenti il 17 marzo prossimo e che si tiene a Bergamo ogni due anni.

A cura di LUCIO BUONANNO
ha collaborato con il PROF. ENRICO ROBOTTI
primario di chirurgia plastica
- PAPA GIOVANNI XXIII -