”Ecco la mia storia. Spero che vi piaccia e possiate pubblicarla. Scusatemi per la lunghezza ma è stato terapeutico scrivere di getto tutta la mia storia e mi è venuto naturale”. Sono Vanessa, una ragazza di 26 anni, studentessa universitaria di lettere, di Dalmine. Ho scoperto questa interessantissima rubrica leggendo in ospedale un numero della vostra rivista. Amo scrivere da sempre, ma non ho mai avuto il coraggio di mettere nero su bianco quello che mi è capitato anche perché ho avuto una “ricaduta” e ne sono riuscita solo di recente.

Ora, però, è come se l’articolo che ho letto in questa sezione mi abbia chiamata e quindi “perché non scrivere anche io la mia storia, rendendola così pubblica?” mi sono detta. Finalmente non mi vergogno più di dire di che cosa ho sofferto. Ho sofferto di disturbi del comportamento alimentare: dalla bulimia del 2008 in cui ho vomitato per mesi (un estremo tentativo di richiamare l’attenzione dei miei genitori), all’anoressia del 2015-2016 dovuta anche al trauma della morte, dopo anni di malattia, di mia mamma per un tumore.

In questa testimonianza voglio parlare della mia malattia, perché, anche se è ancora un tabù, questa è: una malattia. Quante volte mi sono sentita dire: “poverino è chi ha un tumore tu invece te la sei cercata”. Di sicuro alla base dei disturbi alimentari c’è un non volersi bene, una difficoltà psicologica che ha la meglio sulla razionalità.

Spesso quando i media parlano di disturbi alimentari lo fanno in una chiave appunto troppo “mediatica”, sensazionalista o comunque troppo ricca di particolari: la persona che ne ha sofferto e ne è uscita si sofferma molto a parlare delle cose che faceva mentre stava male... comportamenti negativi e dannosi che possono nuocere a chi, ancora dentro quel tunnel, li può prendere ad esempio, non rendendosi conto che possono mettere letteralmente a rischio la vita. Io per esempio avevo comprato dei libri che raccontavano storie di ragazze anoressiche dicendomi che mi avrebbero aiutato a uscirne. In realtà, col senno di poi, ho capito che avevo mentito a me stessa. L’ equipe di medici che mi seguiva mi sconsigliò vivamente di leggere libri del genere perché c’ero dentro ancora fino al collo e avrei potuto copiare su me stessa quei comportamenti dannosi.

Tutto questo per dire che io la mia storia la voglio raccontare da un’angolazione diversa. Non voglio raccontare le azioni che facevo a me stessa mentre stavo male, non voglio certo essere un esempio. Al contrario voglio raccontare come ho fatto io a uscire da tutto ciò, a tornare a vivere e sorridere. Questo articolo vuole essere una speranza, una testimonianza di chi ce l’ha fatta a sconfiggere questa “bestia” come la chiamavo io. Non lo nego, non è stato facile per niente. È stata una strada in salita. Ma partiamo dall’inizio.

Voglio parlare non della prima volta ma della seconda mia ricaduta, che è anche quella più recente. Dopo quello che avevo passato da ragazzina mai e poi mai avrei pensato di ricaderci. E invece è risuccesso. Piano piano, dopo che mia mamma si è ammalata. Una lunga malattia, un calvario, che me l’ha strappata quando avevo solo 23anni. Per tutto quel tempo ho cercato di “fare la forte”, non ho esternato il mio dolore ma ovviamente dentro stavo morendo dal dolore. Mentre lei stava male ho iniziato a mangiare in modo compulsivo per arginare la sofferenza. Non fumo né bevo alcolici: il cibo era la mia unica valvola di sfogo. Prima di morire le promisi che sarei dimagrita come lei voleva per me e sarei tornata al mio peso forma. Quello diventò il mio obiettivo di vita. In un mese, solo riducendo il cibo, riuscii ad arrivare al mio peso forma. Purtroppo però mi ritrovai dentro un altro vortice: continuavo a perdere chili. Arrivai a perderne più di 10 in poco tempo, andando sottopeso. Ovviamente io non me ne accorgevo, non mi vedevo magra e allontanavo tutti i miei familiari. Più loro mi dicevano che ero malata più io negavo. Finché sono finita in codice giallo all’ospedale per grave iponatremia (calo del sodio nel sangue). Non avevo mangiato nulla per due settimane perché avevo paura di soffocare col cibo e mi si era chiuso lo stomaco. Avevo toccato il fondo. Ma qui, in ospedale, è avvenuto l’incontro che avrebbe cambiato le mie sorti. Era la fine dell’estate del 2016 quando ebbi la fortuna di conoscere il primario della psichiatria dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, la dottoressa Bondi, specializzata anche in problemi alimentari. Una “Santa”, come la chiamo io, la mia salvatrice, anche se penso davvero che non si possa aiutare chi non vuole essere aiutato. Da quell’incontro è iniziato un lavoro di equipe con la psichiatra, la psicologa e la dietologa... Il primo passo è stato tenere un diario alimentare accurato. Poi c’erano le sedute di psicoterapia, un’ora ogni settimana per molto più di un anno e le visite con la psichiatra per controllare l’andamento della cura farmacologica che mi era stata data anche per gli attacchi di ansia e panico di cui avevo cominciato a soffrire. È stato un percorso di cura e guarigione lungo, un lavoro costante che mi ha portato dove sono a oggi.

Oggi ho rimesso il giusto peso, mangio seguendo un regime equilibrato e adatto a me che mi ha dato un medico specialista in alimentazione. Posso dire di essere guarita, anche se continuo mensilmente i miei incontri con la dietista, che mi aiuta a gestire al meglio il cibo, e continuo la psicoterapia che mi aiuta a superare il mio grave lutto. Non non ho più attacchi di panico e non soffro più d’ansia. Sono rinata. Posso finalmente guardare al futuro con sorriso e non più con paura, non mi vedo più magra fino all’osso e sola, mi vedo serena e circondata da tutta la mia famiglia, quella di oggi e quella che magari un giorno mi costruirò. Vincere la battaglia contro i disturbi alimentari è dura, ma se hai accanto le persone giuste, puoi imparare ad amarti e ricominciare a vivere.

a cura DI VANESSA MANZONI