Viene spesso chiamato in causa, soprattutto in inverno. Parliamo del sistema immunitario, ma siamo sicuri di conoscerlo davvero?
Volete difendervi dai virus influenzali e parainfluenzali tipici di questa stagione? Dovete rafforzare il sistema immunitario. Quante volte avete letto sui giornali o sentito in televisione questo (saggio) consiglio. Ma vi siete mai chiesti che cosa è davvero e come agisce per riuscire a difenderci dall'aggressione di minacce esterne, come virus, batteri o funghi? Ce lo spiega il dottor Antonio Brucato, internista e immunologo.

Dottor Brucato, cosa succede quando un microrganismo pericoloso cerca di "entrare" nel nostro organismo?
Il sistema immunitario (che si trova in diverse parti dell'organismo tra cui midollo osseo, milza, fegato, linfonodi, tonsille etc.) è un sistema cosiddetto ricognitivo che in un certo senso assomiglia al cervello. Come il cervello, infatti, riceve uno stimolo esterno, lo elabora e poi dà una risposta. Quando si tratta di agenti che riconosce come potenzialmente pericolosi, la risposta è sempre scatenare una battaglia, che può essere una scaramuccia o una guerra continua. Come fa a capire che un microrganismo è un nemico? Lo riconosce perché ha una specie di etichetta, detta "antigene", diversa da quella che si trova su ogni cellula dell'organismo e quindi percepisce come "not self", cioè diversa da sé (self). Quando qualcuna di queste sostanze riesce a oltrepassare le nostre barriere fisiche di protezione (pelle e mucose che rivestono il tratto respiratorio, digestivo, urinario e genitale), scatta una prima difesa, la cosiddetta immunità innata o aspecifica, una sorta di sistema immunitario ancestrale e comune a tutte le specie animali, connesso all'esistenza stessa della vita, che dà una risposta immediata e aspecifica nei confronti di qualsiasi aggressione esterna. Questa reazione si basa sull'azione di recettori chiamati Toll-like (TRL) che riconoscono particolari molecole di batteri e virus e innescano una cascata di eventi, che a loro volta scatenano i macrofagi, (cioè cellule-spazzino) che inglobano e digeriscono l'antigene. Al contatto con l'antigene, i macrofagi sintetizzano interleuchine, mediatori chimici dell'infiammazione (alle stelle ad esempio nella fase conclamata di influenza con febbre alta), inducendo così una risposta infiammatoria che crea una condizione sfavorevole per il nemico. In alcuni casi tutto questo però non basta per vincere la battaglia. Ecco allora che entra in gioco una seconda linea di difesa, il sistema immunitario adattativo o specifico.

difese immunitarie

E come agisce rispetto al primo?
La risposta di questo sistema immunitario richiede tempo, non è immediata come quella dell'immunità aspecifica, ma più raffinata ed efficace. In particolare si distingue in primaria o secondaria. La primaria avviene 2-3 settimane dopo il contatto, cioè il tempo necessario per organizzare gli anticorpi specifici ed efficaci contro quell'antigene, come succede nel caso di virus della rosolia o dell'epatite B. La secondaria, invece, è una "cicatrice sierologica" che protegge dalle infezioni e ci permette di rispondere agli assalti nel giro di qualche ora, in modo quindi più rapido ed efficace. Un esempio di questo tipo di risposta è quella indotta dal vaccino: se dopo la vaccinazione (cioè l'inoculazione di parti di virus indeboliti) si riprende lo stesso virus il sistema immunitario, che ha una memoria di questo nemico già conosciuto, innesca una risposta secondaria che in poche ore elimina il virus. Questo sistema si basa sull'azione dei macrofagi, ma soprattutto su quella dei linfociti T e B (cellule che fanno parte della famiglia dei globuli bianchi, prodotte dal midollo osseo). I linfociti T fin da quando nascono imparano a riconoscere gli "estranei" contro i quali attivarsi e quelli davanti ai quali devono stare "zitti e muti" . Prima frequentano la scuola elementare, cioè il timo (ghiandola appartenente al sistema linfatico e immunitario localizzata tra lo sterno ed i grossi vasi che escono dal cuore), poi passano alle scuole secondarie, cioè agli organi linfatici (milza, adenoidi, tonsille, appendice) e ai linfonodi sparsi in tutto il corpo, dove si "caricano" per essere pronti a scattare quando riconoscono un agente patogeno, o un antigene "presentatogli" dalle cosiddette Antigen Presenting Cells (vedi box), e ad attivare una risposta immunitaria specifica. Il ruolo principale dei linfociti B invece è rilasciare nel sangue immunoglobuline, Ig, ovvero anticorpi specifici contro virus e batteri. È un po' come una chiave che entra solo in una serratura: ogni singolo anticorpo riconosce in modo preciso un pezzo di antigene e vi si lega, inviando un "segnale" che viene riconosciuto dalle cellule che devono eliminare il nemico (linfociti T).

Il biglietto da visita di virus e batteri
Quando una cellula in grado di presentare l'antigene (APC Antigen Presenting Cell) è infettata da un agente patogeno o un macrofago ingloba un corpo estraneo, tali cellule "smontano" l'antigene e lo legano ad alcune proteine sulla loro superficie: si forma così un complesso detto antigene-MHC, che viene mostrato a un linfocita T, il quale può così attivare una risposta immunitaria specifica.

Essendo una forma di immunità acquisita e non innata possiamo "rafforzarla" in qualche modo?
In teoria sì. Questo tipo di immunità si sviluppa in genere nel primo anno di vita e si potenzia man mano che si incontrano i diversi microorganismi presenti nell'ambiente. Evidenze scientifiche chiare ci sono in particolare per le allergie (reazioni esagerate del sistema immunitario a stimoli in realtà innocui). Si è visto infatti che i bambini che vivono con animali e in luoghi di campagna ne soffrono meno di quelli di città. Questo, molto probabilmente, deriva dal fatto che entrando più facilmente in contatto con sostanze patogene (presenti ad esempio nella terra) sviluppano più anticorpi.

La famiglia dei linfociti T
Linfociti T killer o citotossici (TC): uccidono direttamente le cellule infette e quelle tumorali; sono importanti anche nel rigetto degli organi trapiantati
Linfociti T helper (TH): riconoscono l'antigene e danno il via alla risposta immunitaria stimolando la proliferazione di altri linfociti
Linfociti T soppressori (TS): danno il segnale di arresto della risposta immunitaria alcune settimane dopo l'infezione
Linfociti T memoria (TM): già stati a contatto con un antigene, sono pronti a rispondere all'arrivo dello specifico antigene che riconoscono immediatamente

Anche lo stile di vita può incidere sull'efficienza delle nostre difese?
Assolutamente sì. Stress e una vita sregolata possono abbassarle. Al contrario un'alimentazione varia ed equilibrata, con tanta frutta e verdura e poca carne, che fornisca acidi grassi polinsaturi (presenti nel pesce, nell'olio di oliva, nella frutta secca), può aiutare a mantenerle efficienti. Una sostanza che si è scoperto avere un'azione immunomodulante è la vitamina D (contenuta in tonno, salmone, uova e latte e nel famigerato olio di fegato di merluzzo). Il suo effetto benefico deriva dal fatto che i linfociti sono pieni di recettori per questa vitamina. Fondamentale è anche non eccedere con l'alcol, non fumare e fare attività fisica.

a cura di Elena Buonanno
con la collaborazione del Dott. Antonio Brucato
Direttore Unità Medicina Generale ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo