Colpisce 6 bambini su 100 tra i cinque e gli 11 anni, soprattutto maschi, rendendo difficile anche azioni e gesti apparentemente semplici come allacciarsi le scarpe o saltellare su una gamba sola, ma anche scrivere e disegnare. È la disprassia, disturbo della coordinazione motoria ancora oggi poco conosciuto e sottovalutato. Ma quali sono i campanelli d’allarme? E cosa possono fare i genitori per aiutare i figli a vivere al meglio la quotidianità? Ce lo spiega la dottoressa Letizia Corti, psicologa.

Dottoressa Corti, che tipo di disturbo è la disprassia? Che caratteristiche ha?
La disprassia è un disturbo del neurosviluppo che riguarda la capacità di apprendere e produrre prassie, ovvero gesti e movimenti coordinati, guidati da un’intenzione e finalizzati al raggiungimento di un obiettivo. Viene classificata come “disturbo della coordinazione motoria” e implica difficoltà a pianificare ed eseguire sequenze di atti motori volontari. Pur non alterando nella sua globalità lo sviluppo motorio, comporta difficoltà nella gestione dei movimenti fini e complessi comunemente utilizzati nelle attività quotidiane (come vestirsi o allacciare le stringhe delle scarpe). È spesso associata a problemi di organizzazione spazio-temporale e deficit di attenzione e può comportare anche difficoltà nel linguaggio e negli apprendimenti. L’esordio avviene nella prima infanzia; anche se a lungo termine possono esserci miglioramenti, nel 50-70% dei casi le difficoltà di coordinazione permangono nel corso dell’adolescenza.

Come si manifesta nella vita di tutti i giorni? E come si può riconoscere?
I bambini con disprassia sono maldestri e lo sviluppo della coordinazione motoria risulta tardivo e incompleto, tuttavia riconoscere le forme con cui la disprassia si manifesta è spesso difficile. Innanzitutto la variabilità nelle prestazioni motorie può trarre in inganno: il bambino non riesce a realizzare azioni in apparenza semplici, mentre svolge correttamente attività che appaiono simili o anche più complesse. Inoltre, malgrado esercitazioni e insegnamenti comparabili a quelli dei coetanei, non riesce a conseguire gli stessi risultati. Queste difficoltà vengono talvolta interpretate come scarso impegno o pigrizia, generando nel bambino frustrazione e senso di inadeguatezza. Ad esempio, un bambino disprassico che scrive male può essere considerato svogliato, mentre per lui la scrittura comporta un impegno e un’attenzione nel tracciare le lettere di gran lunga maggiori a quelli dei compagni: l’atto motorio della scrittura assorbe gran parte delle risorse attentive e cognitive, impedendo di porre attenzione al contenuto e di acquisire nozioni.

Quali sono quindi i segnali a cui prestare attenzione?
I bambini più piccoli possono presentare un ritardo nel raggiungere le tappe fondamentali dello sviluppo motorio (sedersi, gattonare, camminare). Successivamente può esserci un ritardo nello sviluppo di alcune abilità quali salire le scale, pedalare, vestirsi, usare le cerniere o i bottoni, utilizzare le forbici; anche quando queste abilità vengono acquisite, l’esecuzione dei movimenti appare scoordinata. Inoltre possono riscontrare difficoltà a interrompere un movimento o a correggerne la traiettoria, a saltare su un piede solo, a stare seduti composti, o possono adottare un modo di camminare particolare (a passi brevi o in punta di piedi). I più grandi possono mostrare lentezza o scarsa precisione in attività quali costruire modellini o puzzle, giocare a palla, disegnare, scrivere a mano, possono avere difficoltà scolastiche e problemi di autostima, per cui l’aiuto fornito nel percorso scolastico può essere determinante per il decorso del disturbo. In adolescenza e in età adulta, possono permanere difficoltà nelle attività che richiedono velocità e precisione e nell’apprendere nuovi compiti in cui sono implicate abilità complesse e automatiche, come ad esempio guidare. È importante che i genitori riconoscano tempestivamente i segnali, anche con l’aiuto del pediatra e di educatori e insegnanti, che possono segnalare la presenza di anomalie da approfondire.

Un aiuto dalla riabilitazione integrata
Accanto al supporto scolastico e in alcuni casi psicologico, l’intervento riabilitativo sulla disprassia può alleviare disagi soprattutto se iniziato nei bambini molto piccoli, quando il cervello è ancora molto plastico e può quindi essere modificato. È nell’infanzia infatti che si creano nuove connessioni nel sistema nervoso e si apprendono nuove abilità e competenze. Il percorso, che dovrebbe prevedere da una parte un intervento logopedico dall’altro psicomotorio, può aiutare il bambino a coordinare i movimenti, gestire le difficoltà quotidiane e sviluppare le abilità linguistiche generali.

Cosa si può fare per supportare il bambino nello svolgimento delle attività quotidiane e scolastiche?
Così come i genitori devono capire in quali modi compensare il problema del loro bambino a casa, anche a scuola è necessario mettere in atto gli aiuti necessari per consentire agli allievi disprassici di acquisire le competenze adeguate alla loro età. Questo può evitare l’insuccesso scolastico di molti bambini dotati di buona intelligenza. Il luogo in cui i bambini disprassici soffrono di più è infatti la scuola: sin dalla scuola d’infanzia si trovano a dover svolgere attività che li mettono in grande difficoltà, come disegnare, incollare, infilare perline. Spesso di conseguenza manifestano comportamenti problematici. Nel corso degli anni la quantità e la frequenza delle attività grafiche aumentano e il bambino, malgrado gli sforzi smisurati, riesce a malapena a scrivere il suo nome. L’insegnamento e l’apprendimento devono avvenire nel rispetto delle possibilità e dei limiti del bambino, senza colpevolizzarlo per le sue difficoltà. Tenere conto della disprassia non vuol dire rinunciare a fare delle richieste ai bambini disprassici, ma accettare che potranno fare bene come gli altri, o persino di più, ma a modo loro. È fondamentale evitare la demotivazione all’apprendimento, promuovere l’autonomia e sostenere l’autostima del bambino.

Come si arriva alla diagnosi?
La diagnosi di disprassia richiede un’accurata valutazione da parte di un’equipe costituita da varie figure professionali (neuropsichiatra infantile, psicologo, logopedista, terapista della neuropsicomotricità). Oltre alla presenza di marcate difficoltà o di un ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria (inferiore a quanto atteso per l’età), per la diagnosi è necessario che la compromissione delle abilità motorie non sia dovuta a patologie organiche e che interferisca in maniera significativa con le attività della vita quotidiana. Una diagnosi precoce è fondamentale per poter attuare le scelte terapeutiche, riabilitative e didattiche più adeguate.

La disprassia è un disturbo dello sviluppo neurobiologico. Ad oggi le cause non sono ancora definite, ma le ricerche condotte fin ora suggeriscono un’immaturità dello sviluppo neuronale nel sistema nervoso centrale.

Cosa si può fare per supportare il bambino nello svolgimento delle attività quotidiane e scolastiche?
Così come i genitori devono capire in quali modi compensare il problema del loro bambino a casa, anche a scuola è necessario mettere in atto gli aiuti necessari per consentire agli allievi disprassici di acquisire le competenze adeguate alla loro età. Questo può evitare l’insuccesso scolastico di molti bambini dotati di buona intelligenza. Il luogo in cui i bambini disprassici soffrono di più è infatti la scuola: sin dalla scuola d’infanzia si trovano a dover svolgere attività che li mettono in grande difficoltà, come disegnare, incollare, infilare perline. Spesso di conseguenza manifestano comportamenti problematici. Nel corso degli anni la quantità e la frequenza delle attività grafiche aumentano e il bambino, malgrado gli sforzi smisurati, riesce a malapena a scrivere il suo nome. L’insegnamento e l’apprendimento devono avvenire nel rispetto delle possibilità e dei limiti del bambino, senza colpevolizzarlo per le sue difficoltà. Tenere conto della disprassia non vuol dire rinunciare a fare delle richieste ai bambini disprassici, ma accettare che potranno fare bene come gli altri, o persino di più, ma a modo loro. È fondamentale evitare la demotivazione all’apprendimento, promuovere l’autonomia e sostenere l’autostima del bambino.

A cura di elena Buonanno
con la collaborazione della dott.ssa Letizia Corti
Psicologa Centro RicreAzione Pedrengo