«Il perfezionismo può essere associato a una forma di pensiero del tipo “tutto o niente” in cui se qualcosa non è ritenuto perfetto, allora viene percepito come privo di valore, insignificante. Malgrado possa essere collegato al raggiungimento di successo e di standard elevati, spesso però porta alla manifestazione di ansia, frustrazione e all’evitamento di progetti importanti». Chi parla è la dottoressa Michela Gritti, psicologa. Ci siamo rivolti a lei per approfondire pro e contro del perfezionismo, ovvero della ricerca estenuante della perfezione, un fenomeno molto diffuso ai giorni nostri, complice anche i social network e la tendenza a mostrare al mondo prevalentemente le cose belle che accadano nella nostra vita. «Nel mondo dei social il tema del perfezionismo con tutte le sue sfaccettature è fortemente presente. Basti pensare all’utilizzo di Photoshop per correggere o cancellare ciò che viene considerato come un’imperfezione, mostrandoci al mondo (in questo caso social) come vorremmo essere e non come siamo realmente. L’uso di questi strumenti distrugge la nostra autenticità, ci uniforma ai prototipi di bellezza della nostra società e cultura di appartenenza. Il perfezionismo, però, non riguarda soltanto il mondo dei social network: permea ogni aspetto della nostra vita, influisce sulle nostre emozioni, sul nostro modo di pensare e comportarci».

Dottoressa Gritti, ma cosa si intende nel dettaglio per perfezionismo?

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) definisce il perfezionismo come: “la rigida ostinazione sul fatto che qualsiasi cosa debba essere impeccabile, perfetta e senza errori o difetti, incluse le prestazioni proprie o altrui; rinuncia alla tempestività per garantire la correttezza in ogni dettaglio; convinzione dell’esistenza di un’unica modalità corretta di fare le cose; difficoltà a cambiare idea e/o punto di vista; fissazione per i dettagli, l’organizzazione e l’ordine”. Il perfezionista ha la tendenza a concentrarsi sempre su ciò che manca seguendo una sequenza infinita di insoddisfazione, anziché focalizzarsi su ciò che ha fatto in modo corretto o ciò che va bene. Nulla gli appare mai sufficiente, manca sempre qualcosa. La comparsa di questo tipo di pensiero conduce la persona a pensare di non essere mai abbastanza, di non essere realmente capace e caparbia. La percezione è quella di non raggiungere mai il livello desiderato, generando così la convinzione di non avere valore. Chiaramente la persona perfezionista può essere definita come molto performante: l’organizzazione estremamente precisa, rigida e controllata può essere molto utile per raggiungere svariati obiettivi personali e professionali.

Quando la volontà di ambire alla perfezione può diventare patologica?

La volontà di raggiungere standard elevati, buoni risultati, di porsi obiettivi grandiosi e di prendersi cura della propria persona e del proprio aspetto, è legittima e non patologica di per sé, ma lo diventa quando è presente:

> procrastinazione cronica, difficoltà nel terminare compiti o facile abbattimento;
> esecuzione delle attività in maniera eccessivamente scrupolosa e approfondita (ad esempio, riservare troppo tempo ad un’attività che richiederebbe un tempo inferiore);
> controllo eccessivo (ad esempio, leggere e rileggere per troppo tempo una mail da inviare per essere sicuri che non siano presenti errori);
> la continua rielaborazione delle cose per migliorarle le cose rielaborandole (ad esempio riscrivendo più volte un documento di lavoro per renderlo “perfetto”);
> la tendenza a fare liste ricche e accurate delle cose da fare (ad esempio quando alzarsi, lavarsi i denti, fare la doccia, etc.);
> l’evitamento di cose nuove per paura di commettere errori; la zona di comfort rende più sicuri e viene abbandonata con estrema difficoltà.

 

Da non confondere con l’ambizione L’ambizione riguarda il desiderio di essere visti e raggiungere obiettivi ritenuti importanti, mentre il perfezionismo è il desiderio di essere perfetti, impeccabili. Una persona che si impegna per raggiungere un obiettivo, seguendo un percorso lineare, infatti, non è necessariamente una persona perfezionista. L’ambizioso riesce a godere dei traguardi conquistati, riconosce le proprie capacità e continua a porsi obiettivi di crescita personale. Il perfezionista non ha uno scopo ben preciso e si perde nel sistemare i dettagli senza raggiungere un fine più alto, ostacolando in tal modo la crescita personale e compromettendo la propria salute psico-fisica. Queste persone, nonostante siano realmente capaci, arrivano a pensare di essere “solamente fortunate”, di poter fare sempre di più, di non meritare ciò che hanno raggiunto e che anche gli altri potrebbero raggiungere i loro stessi risultati, compiendo errori di valutazione sulle capacità altrui. Non si sentono realmente competenti, realmente artefici dei propri frutti.

 

Quali sono i rischi di un atteggiamento mentale di questo tipo? Quali conseguenze può avere?

Questi comportamenti e pensieri possono provocare la comparsa di vere e proprie psicopatologie, quali episodi depressivi, stati d’ansia generalizzata, disturbi alimentari, che possono compromettere tutte le aree di vita della persona. L’impossibilità di essere sempre perfetti tende a innescare la sensazione di stress e inadeguatezza e fallimento. Se a queste sensazioni si risponde con ulteriore perfezionismo, si attiva un circolo vizioso che porta a sentirsi quasi sempre sotto pressione, inefficaci, ossessionati dallo scorrere del tempo e dall’incapacità di fare tutto ciò che si dovrebbe.

 

A cura di Viola  Compostella
con la collaborazione di Dott.ssa Michela Gritti
Psicologa Clinica, Master in
Valutazione multidimensionale e
Tecniche per il cambiamento
Amae studio professionale a Casazza