I suoi quadri sono pieni di colore: i paesaggi, le nature morte, le altre opere, che pur ispirandosi alla realtà la trasformano fantasticamente, toccano il cuore, emozionano. Pochi restano insensibili di fronte a queste tele a olio. Lui è Marco Sesini, pittore di Caravaggio: dipinge di getto, per passione, per scaricare sulla tela la sua vita e i suoi sentimenti. Marco ha 37 anni ed è una persona Down. Ha un cromosoma in più. E tanti interessi. «In questo momento ho un po' abbandonato la pittura» ci dice. «Mi sto dedicando soprattutto a disegnare fumetti fantastici e a scrivere poesie». Intanto ha appena chiuso la sua seconda mostra personale tenuta a Treviglio.

Marco però è abbastanza restìo, non gli piacciono le interviste, teme forse di essere considerato un esibizionista. A raccontarci la sua storia, i suoi sacrifici, le sue sfide è il papà Umberto che ha fatto studi sui segni di devozione alla Madonna di Caravaggio. «Quando è nato Marco, il 26 maggio del 1976, il giorno dell'Apparizione della Madonna a Caravaggio, mia moglie Letizia aveva 22 anni e io 24. Fin da subito siamo stati informati che il nostro bambino aveva dei problemi, che aveva la sindrome di Down. Da allora abbiamo dovuto imparare in fretta ad affrontare la situazione. Aveva solo 23 giorni di vita quando ci siamo rivolti alla professoressa Cecilia Morosini, una neuropsichiatra milanese, al tempo molto nota. Ci consigliò di adottare il metodo Doman: una serie di esercizi quotidiani (più di 18) svolti a casa. Qualcuno di questi era quasi una tortura per il piccolo, ma la professoressa ci incoraggiava sostenendo che così sarebbe emerso il meglio delle capacità cerebrali di nostro figlio. Uno di questi esercizi (ripetuto tre volte al giorno) necessitava dell'azione coordinata di tre persone (mia moglie, nonna Barbara e io) e consisteva nel ripetere i movimenti del nuoto, sdraiando a pancia sotto il piccolo su un materassino appoggiato sul tavolo della cucina e imponendogli, anche con una certa forza, i movimenti. Un altro prevedeva (mano e piede contemporaneamente afferrati da mamma e papà) che lo si lanciasse in alto per poi riprenderlo al volo. Mia moglie e io eravamo molto giovani e, facendo violenza anche a noi stessi, ci siamo completamente impegnati e fidati di quanto la Morosini ci consigliava. Per anni ho staccato dal lavoro a mezzogiorno in punto per sfruttare al massimo la pausa pranzo e correre a prendere mia madre e poi a casa per sottoporre il piccolo Marco a questa forma di ginnastica riabilitativa. Mia moglie, nel corso della giornata, avrebbe poi continuato a stimolarlo con esercizi tattili e visivi. Marco, guidato, accarezzava oggetti con diverse rugosità per imparare il concetto di liscio e ruvido, e, davanti a cartelli con parole a grandi caratteri di colore rosso, assimilava il concetto di realtà trasformata in lettere e scrittura. A volte, nonostante l'impegno, i risultati però tardavano a venire ma, un po' alla volta, sono arrivati. È stata dura e tra alti e bassi, speranze e delusioni siamo riusciti a dare al nostro Marco il concetto di lavoro, di impegno, e soprattutto una speranza. Quando si alza, la mattina, è difficile che non abbia già progettato la sua giornata».

«Marco è un esempio di speranza per tutti coloro che si trovano in difficoltà» aggiunge la cugina Maura Sesini che ha curato la mostra e che è manager di un'azienda del settore della salute e del benessere. «Un esempio di lavoro e tenacia che lo hanno sempre accompagnato insieme alla voglia di farcela. Nel tempo i piccoli e i grandi successi raggiunti hanno contribuito a dargli fiducia insieme alla convinzione che siamo solo noi a fare la differenza nella realizzazione dei nostri sogni». E i sogni e il futuro di Marco si sono visti fin da bambino. «Mio figlio ha dimostrato da subito una passione per l'arte, aiutato costantemente da mia moglie, insegnante elementare» racconta il papà. «Usava benissimo i pastelli, disegnava in modo egregio. Poi, finite le scuole dell'obbligo, la decisione più importante: ha voluto iscriversi al liceo artistico di Treviglio per migliorare le sue qualità artistiche. Ovviamente aveva un programma differenziato che però gli ha permesso di sfogare la sua passione. E infine il grande salto: la scuola dell'Accademia Carrara. Il direttore di allora, il professor Mario Cresci, restò favorevolmente impressionato da un suo quadro, fatto con i pastelli, che rappresentava la penisola di Sirmione, e convinse Marco a frequentare i corsi. Cinque anni da Caravaggio a Bergamo, tutti i giorni: treno, autobus. All'inizio accompagnato, poi da solo, anche se con tempi e passaggi controllati. Un'altra sfida, piena di ansie e paure, ma un'altra battaglia vinta. E le mostre. Nel 2008 la prima personale a San Pellegrino Terme, poi ogni anno espone le sue opere con il Circolo artistico "il Caravaggio". Lui non partecipa volentieri. È fatto così. Siamo io e la cugina a spingerlo, ad accompagnarlo. Anche quando dipinge non lo fa per farsi vedere, per vendere i suoi quadri. è una pura passione, un modo per esprimersi e per raccontare i suoi stati d'animo. Ma l'idea di partecipare alle mostre e far vedere le sue opere lo preoccupa un po' anche se poi i complimenti lo gratificano molto. Anche a quella che ha organizzato sua cugina a Treviglio ci è voluto del tempo prima che si convincesse». Ma ascoltando i commenti dei visitatori che guardano con stupore i quadri, colpiti dall'uso dei colori e dalla tecnica si capisce che la forza comunicativa di Marco regala suggestioni e atmosfere. «è la dimostrazione» commenta Maura «che nonostante le difficoltà, Marco ha saputo magistralmente trasformare la sua lotta quotidiana in poesia, il dolore in colore denso, vivo, pieno di speranza».

UN BAMBINO SU 1200 HA LA SINDROME DOWN
In Italia ogni 1200 bambini che nascono, uno ha la sindrome di Down. Nelle cellule umane ci sono 46 cromosomi, divisi in 23 coppie e numerati da 1 a 23. Ventitrè cromosomi vengono dalla madre, 23 dal padre: in questo modo si forma una nuova cellula con 46 cromosomi. «L'insieme di questi cromosomi definisce le caratteristiche di ogni persona: in parte vengono dai genitori, in parte da come si mischiano queste caratteristiche che ci rendono diversi dagli altri (per esempio il colore dei capelli, l'altezza, il colore della pelle etc.)» si legge sul sito l'Associazione Italiana Persone Down (AIPD). «Nella coppia di cromosoni numero 21 ci sono 3 cromosomi invece di due e questo provoca la sindrome di Down che si chiama perciò anche Trisomia 21». Le tante associazioni che ora confluiscono in un coordinamento nazionale (www.coordown.it) hanno come scopo quello di tutelare i diritti della persona down, favorirne lo sviluppo fisico e mentale, contribuire al suo inserimento scolastico e sociale e aiutare la sua famiglia.

a cura di LUCIO BUONANNO