Quando si parla di coppia la mente in genere va subito a quella formata da un uomo e una donna. In realtà, anche in Italia, sono sempre di più le coppie costituite da persone dello stesso sesso. E ora, dopo anni di battaglie, anche sotto il profilo legislativo, pare che qualcosa si stia muovendo per riconoscerne ufficialmente i diritti. Piccole aperture che però si scontrano quotidianamente con luoghi comuni intorno all'omosessualità.

«Nonostante la ricerca scientifica abbia ormai "sdoganato" da quasi un secolo il comportamento omosessuale levandogli l'etichetta di "perversione" o "deviazione patologica", ancora oggi ci troviamo a confrontarci non solo con pregiudizi di varia natura (spesso figli della semplice ignoranza o della paura del diverso) ma anche con personaggi ambigui che propongono sotto una patina vagamente "pseudoscientifica" delle "terapie riabilitative" finalizzate al ripristino di una "sessualità naturale": si tratta di sciacalli che cercano di approfittarsi della fragilità e della sofferenza di persone che spesso vivono con enormi sensi di colpa e sofferenza il proprio orientamento sessuale proprio a causa dei pregiudizi e della scarsa capacità della società di integrare modelli diversi, nei confronti dei quali anche l'Ordine Nazionale degli Psicologi ha preso una posizione netta di condanna» sottolinea il dottor Mattia Maggioni, psicologo e psicoterapeuta. «Per capire meglio di cosa stiamo parlando, bisogna fare un passo indietro al concetto di "identità di genere", un concetto che negli ultimi anni ha subito grandi cambiamenti. Lo sanno bene gli sviluppatori di Facebook, notissimo social network con oltre un miliardo di utenti in tutto il mondo, che nella scheda anagrafica dei profili utenti americani ha previsto la possibilità di scegliere tra oltre 50 alternative alla voce "genere" (androgino, bi-sex, intersex, transgender, etc.). Oltre alla prova che gli esperti di marketing e pubblicità dell'azienda di Zuckerberg siano decisamente abili, questa scelta in qualche modo dimostra anche a livello di "psicologia popolare" un mutamento di visione comune delle tematiche legate all'identità e in particolare a quella di genere».

Ma cosa si intende per identità di genere, dottor Maggioni?
Quando si parla di "genere" si intende il sesso biologico di nascita dell'individuo che può essere solo maschile o femminile (i rarissimi casi di ermafroditismo non possono costituire un campione rilevante). L'identità di genere, invece, è la rappresentazione psichica dell'appartenenza di un individuo a un modello fisico, psichico e comportamentale maschile o femminile e può non coincidere necessariamente con il sesso biologico di nascita. Si tratta di un percorso di riconoscimento di sé e di progressiva costruzione della propria immagine, che, come tutti i processi d'identificazione, spesso procede per strappi e tentativi e non sempre produce esiti uguali per tutti. La storia dell'umanità e la società è piena di esempi di questo tipo: se pure alcuni modelli di identificazione di genere sono molto orientati alla sottolineatura di alcuni caratteri estetici tipicamente maschili (barba, peli, muscolatura, comportamenti) o femminili (delicatezza dei lineamenti, curve del corpo pronunciate , capelli lunghi) è altrettanto presente nell'esperienza di ciascuno l'esistenza di modelli alternativi caratterizzati da un'immagine più androgina o, soprattutto negli ultimi anni, da una progressiva commistione degli elementi estetici (il maschio "metrosexual" che spopola in tv o nelle squadre di calcio professionistiche ne è un buon esempio). Gli psicologi oggi parlano di identità "liquide" per definire la frammentazione dei modelli identificativi e la sensazione di fluidità nel passaggio da un tratto all'altro. In questo contesto non è sempre possibile definire la propria identità (anche quella di genere) come acquisita definitivamente e indiscutibilmente una volta per tutte nel corso della vita ma sono invece possibili fluttuazioni e veri e propri "transiti" da un polo all'altro. A complicare ulteriormente la questione c'è il dettaglio che la definizione del proprio orientamento sessuale (ovvero "da chi mi sento attratto") non è necessariamente consequenziale alla propria identità di genere.

Ci può spiegare meglio?
È stato dimostrato che non c'è nessun nesso causale tra identità di genere e scelta del proprio oggetto sessuale. Per essere molto esplicito e sfatare uno dei tanti luoghi comuni circa l'omosessualità (soprattutto quella maschile) un ipotetico uomo omosessuale non è attratto da altri uomini perché "in fondo si sente femmina" né che, all'opposto, ricercherà obbligatoriamente uomini con tratti marcatamente femminili ma, più semplicemente, tenderà a riconoscere la propria attrazione verso individui tendenzialmente dello stesso sesso. Attenzione però: come l'identità di genere non è necessariamente definita "geneticamente" una volta per tutte a maggior ragione non può (e in fatti non è) esserlo l'orientamento sessuale. Nel corso dell'adolescenza ma, più in generale durante la vita, è abbastanza "naturale" avere esperienze o semplici fantasie omosessuali così come nelle pratiche eterosessuali rientrano atteggiamenti e stimolazioni di aree che spesso si associano a una sessualità di orientamento diverso, ma ciò non determina una "sempiterna" e indiscutibile "appartenenza" a un "club" o all'altro. Eppure spesso siamo portati a ricercare una definizione assolutistica dell'altro sovrapponendo scorrettamente comportamenti, orientamento sessuale e identità di genere come se una semplice definizione potesse descrivere la complessità e la ricchezza della storia e della personalità di un individuo, magari arrivando al punto di attribuire non solo all'individuo ma a un'intera "categoria" valori, azioni, 

Se immagine di sé e sesso biologico non coincidono
Spesso il percorso di riconoscimento di sé e di progressiva costruzione della propria immagine è lungo e doloroso e varca i confini temporali dell'adolescenza, soprattutto quando il conflitto tra sesso biologico e rappresentazione di sé risulta stridente. In questi casi genera una grande sofferenza psichica, riconosciuta anche dal "Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali" come un vero e proprio disturbo psichico.

a cura di Viola Compostella
con la collaborazione del DOTT. MATTIA MAGGIONI
Psicologo, Psicanalista e Psicoterapeuta a Bergamo

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