«Bisogna reagire, non ci si deve abbattere, la vita è troppo bella per lasciarsi andare anche se hai una malattia che non ti farà mai essere come prima. Bisogna trovare nuovi stimoli, reinventarsi giorno dopo giorno. Ci vuole coraggio, impegno anche se non è facile. Il morbo di Parkinson, meglio la malattia di Parkinson, lascia poche possibilità di guarire.

Ma si può convivere facendo sport, diventando volontario, scrivendo libri, impegnandosi nel teatro o correndo in auto. Una sfida da vivere intensamente mettendosi a disposizione degli altri». È questo il messaggio lanciato all’unisono dai quattro testimoni del convegno “L’inguaribile voglia di vivere”, organizzato dalla sezione bergamasca dell’Associazione Italiana Parkinsoniani al Centro Congressi, aperto dal vicepresidente nazionale Marco Guido Salvi e concluso dal vescovo Francesco Beschi. Un convegno che ha toccato il cuore della platea, anche per la presenza dell’assessore regionale Mario Melazzini, affetto da SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). «Molti pazienti e familiari hanno difficoltà ad accettare sia la patologia sia il progressivo peggioramento nel tempo» ha commentato l’architetto Salvi. «Molto spesso alla condizione di salute si sommano il senso di inutilità, di fragilità, di disperazione e si cerca rifugio nell’isolamento».

I quattro testimoni hanno raccontato, ma soprattutto dimostrato nei fatti, che con la malattia si può convivere, ci si può anche inventare una nuova vita e scoprire nuovi lati di sé. Come Diego Oberti, 42 anni, che si sta preparando per correre la prossima Maratona di New York. «Lo sport mi ha fatto rinascere» ha raccontato. «Avevo 37 anni, ero un atleta, avevo giocato a calcio, poi quando ho appeso le scarpette al chiodo, come suol dirsi, ho scoperto la montagna con il CAI di Nembro, sono diventato aiuto istruttore, ma un giorno mentre scalavo con i miei allievi all’improvviso ho avvertito uno strano tremolio alla mano destra, una sensazione di debolezza al braccio. Pensavo fosse stanchezza ma un allievo che fa l’infermiere mi ha consigliato di farmi vedere da un medico. Faccio gli esami e la risposta è terribile: “Lei ha il Parkinson”. Mi è crollato il mondo addosso. Non potevo né volevo crederci, ma purtroppo era la drammatica verità. Ho continuato ad andare in montagna, qualche giretto, piccole passeggiate, ma ero rigido, bloccato. Fortunatamente ho scoperto una palestra a Stezzano che è anche un centro di rieducazione motoria con un progetto per i malati di Parkinson. E lì è ripresa la mia vita. All’inizio non riuscivo a correre sul tapis-roulant, non riuscivo a coordinare gambe e braccia. Poi, grazie agli istruttori mi sono ripreso e ho deciso di correre e continuo». Diego ha fatto la StraBergamo, la mezza maratona di Padenghe del Garda, e altre corse con ottimi risultati. Si allena quasi quotidianamente. L’altro giorno ha fatto 36 chilometri intorno al lago di Lovere. E a chi gli chiede “Ma perché lo fai?” Diego risponde “Mi piace correre, la vita è troppo bella per lasciarmi andare, devo reagire”. Quando si allena ha accanto la moglie Paola che lo segue in bici e appena finisce va dal fisioterapista. «La fisioterapia è importante» dice.«Io poi faccio almeno un’ora di ginnastica in casa. Ora voglio realizzare un sogno: andare alla Maratona di New York. Potervi partecipare è già un successo, il mio. Non importa arrivare, ma esserci».Intanto cerca lavoro. È in cassa integrazione ma vorrebbe tornare a fare l’idraulico, il mestiere che ha fatto per 26 anni.

Se Diego ha trovato nella corsa la sua nuova vita, Giulio D’Adda ha realizzato le sue aspirazioni nel “Teatro&Tremore”. «Un’esperienza straordinaria fatta con altri malati come me» racconta. «Uno stimolo che mi permette addirittura di scherzare con la malattia. È un miracolo che avviene ogni giorno e cancella la solitudine e ci offre facilità di contatto con gli altri. Quando facciamo le prove abbiamo sempre paura di non ricordare le battute, poi quando siamo in scena, nonostante il Parkinson, non abbiamo più problemi e ricordiamo tutto». Fiorello Lorenzi, anche lui colpito dalla malattia, ha invece scoperto la solidarietà. Ha scritto tre libri e ha inventato il “Progetto Fiore”, un fondo di microcredito per chi in Val Cavallina versa in serie difficoltà economiche. «La nostra è una malattia terribile, ci toglie un poco alla volta uno spicchio di vita, ma non dobbiamo piangerci addosso» dice. Non si piange addosso nemmeno Beppe Montagna, anche se è su una sedia a rotelle. Il suo male gli fu diagnosticato nel 1982, quando aveva 40 anni. La sua passione erano le auto d’epoca, la Mille Miglia. Ne ha fatte due, nel 1988 e l’anno dopo. «Bisogna accettare le difficoltà» dice. «Ma dobbiamo darci da fare, confrontarci con tutti anche se risultati concreti non ci sono ancora».

Toccanti sono state anche le testimonianze della dottoressa Anna di Landro, dermatologa che ha lavorato per anni agli ex Ospedali Riuniti, la cui madre colpita dalla Sla è scomparsa in pochi mesi, e dell’assessore regionale alle Attività produttive, Ricerca e Innovazione, presidente della Fondazione AriSla, medico ricercatore colpito dalla Sla. «La mia malattia mi ha reso più forte e determinato» ha detto. «Ho imparato che con la malattia si può non solo vivere, ma anche compiere scelte forti. Sono convinto che ogni vita è degna di essere vissuta». E l’inguaribile voglia di vivere è emersa anche dalla testimonianza del vescovo di Bergamo Francesco Beschi. «La malattia è una grande prova» ha detto. «E visitando i malati avverto più vita e speranza negli ospedali che in altri luoghi». Una prova che ha vissuto indirettamente sulla propria pelle: anche la madre ha sofferto di Parkinson per dieci anni.«A Dio aveva chiesto di mantenere sempre il sorriso». Lo stesso sorriso che illumina il volto dei quattro testimoni.

Oltre 3200 bergamaschi colpiti dalla malattia
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa, ad evoluzione lenta ma progressiva, che coinvolge il controllo dei movimenti e la perdita di equilibrio, con tremori a riposo, rigidità, lentezza nel muoversi (questi sintomi si presentano in genere in modo asimmetrico). L’età media di esordio è intorno ai 58-60 anni, ma circa il 5 % dei pazienti può presentare un esordio giovanile tra i 21 e i 40 anni. Nella Bergamasca ha colpito almeno 3.200 persone. Le cause purtroppo non sono ancora note, anche se si parla di fattori genetici e tossici. Per quanto riguarda le cure il trattamento della malattia di Parkinson pone in primo piano la terapia farmacologica. Negli ultimi anni si sono però affermate anche varie metodiche chirurgiche. Inoltre si attribuisce sempre più importanza alla riabilitazione. Importante è anche la dieta bilanciata che prevede il 55/58 per cento di carboidrati (cereali e loro derivati), il 25/30 per cento di grassi e il 12/15 per cento di proteine, suddivisi nei vari pasti: 20 per cento a colazione, 35 per cento a pranzo, 10 per cento con gli spuntini, 35 per cento a cena.

a cura di LUCIO BUONANNO