Riguarda circa 5 milioni di italiani (secondo i criteri di Roma III in Italia varia tra il 7,9% al 9,2% della popolazione), in particolare donne, anziani sopra i 65 anni e bambini. È la stipsi, o stitichezza, un problema che può rovinare le giornate di chi ne soffre al pari di patologie più complesse.

Per mettere a punto una “cura” efficace il primo passo è inquadrare correttamente il problema.

Uno “svuotamento” difficile e a volte doloroso
La stipsi è un’alterazione dell’evacuazione, avvertita come difficile o insoddisfacente e/o una ridotta frequenza dell’alvo con modificazione della consistenza delle feci. Tuttavia spesso il quadro clinico è più complesso perché si associano anche distensione intestinale, gonfiore e dolore addominale, sensazione di malessere generale che possono essere anche più invalidanti. Per quanto riguarda l'origine esistono due forme di stipsi, “secondaria” ad altre condizioni o patologie e “primaria o idiopatica (cosiddetta funzionale)”, la più frequente, della quale ci occuperemo in questo articolo.

Quando diventa cronica
La stipsi funzionale può manifestarsi occasionalmente o cronicamente. È proprio la forma cronica che, compromettendo in un’alta percentuale di pazienti la qualità di vita, richiama maggiormente l’impegno di pazienti, medici e risorse sanitarie. Può essere, a sua volta, suddivisa in 3 sottotipi: stipsi con normale transito, stipsi con rallentato transito, stipsi da disturbi della defecazione. Per parlare di stipsi cronica è necessario, comunque, che siano soddisfatti i “Criteri di Roma III”, pubblicati per migliorare la diagnosi della stipsi anche differenziandola dalla IBS-C (sindrome dell’intestino irritabile a variante stitica) e in particolare che siano riscontrate tre condizioni, presenti per almeno tre mesi e con esordio da almeno 6 mesi prima della diagnosi.

1. Presenza di almeno due dei seguenti sintomi/segni in almeno 25% delle evacuazioni: sforzo evacuativo; feci piccole e dure; sensazione di evacuazione incompleta; sensazione di ostruzione ano-rettale; necessità di manovre manuali (digitazione, sostegno del pavimento pelvico); meno di tre evacuazioni a settimana.

2. Feci liquide rare se non in caso di lassativi.

3. Insufficienti criteri per la sindrome dell’intestino irritabile (IBS-C), che si manifesta con dolore o fastidio addominale ricorrente presente almeno 3 giorni/mese negli ultimi 3 mesi con esordio da almeno 6 mesi ed associati con due o più delle seguenti caratteristiche; miglioramento con la defecazione; inizio associato con un cambiamento di frequenza dell’alvo; inizio associato con un cambiamento della forma delle feci.

Va considerato che la distinzione tra stipsi e IBS-C non è mai così netta e nella storia dei pazienti è frequente il passaggio da una forma clinica all’altra.

Non tutti i casi sono uguali: l’importanza di una corretta diagnosi
È chiaro, da quanto detto finora, che la gestione della stipsi cronica non è generalizzabile in maniera standard. Innanzitutto bisogna impostare un percorso diagnostico valido. Il primo step è un’attenta valutazione clinica che verifichi la presenza di segni d’allarme o fattori di rischio:

• età superiore a 50 anni
• recente insorgenza de sintomi
• sanguinamento rettale
• febbre
• perdita di peso non intenzionale
• sintomi severi non studiati
• sintomi continui
• sintomi che causano risveglio
• storia familiare di cancro del colon-retto, malattie infiammatorie croniche intestinali, malattia celiaca, neuro-miopatie viscerali
• valori anormali di laboratorio
• riscontro obiettivo di massa addominale e rettale.

In base a questa prima analisi lo specialista consiglierà il percorso diagnostico-terapeutico più appropriato alla situazione e alle condizioni del paziente. Lo studio morfologico del colon con clisma opaco o colonscopia non è richiesto in questa fase nei pazienti di età inferiore a 50 anni e privi di fattori di allarme. Invece, accertamenti fisiopatologici, da eseguire in pazienti selezionati, sono lo studio radiologico dei tempi di transito colico, la manometria ano-rettale (valuta il tono dello sfintere anale interno ed esterno, la presenza del riflesso retto-anale inibitorio, la sensibilità rettale, la distensibilità del retto e la coordinazione ano-rettale per escludere una dissinergia), la defecografia convenzionale o defeco-RMN (valuta eventuale presenza di prolasso, rettocele, dissinnergia, associazione con difetti uro-ginecologici) e la ecografia transanale 3D (valuta integrità anelli sfinteriali e altre lesioni ano-rettali associate).

Le terapie: dalle fibre alla chirurgia, passando per i lassativi
Un importante contributo a una corretta impostazione del trattamento della stipsi cronica si è avuto con la pubblicazione di un recente lavoro di revisione della letteratura scientifica che, rivalutando e riportando le evidenze scientifiche disponibili, ha evidenziato i miti e le false credenze che influenzano il comportamento dei medici e dei pazienti. In particolare l’articolo dimostrava che i lassativi, se usati con appropriatezza, non hanno conseguenze negative, l’ingestione di acqua e l’attività fisica non hanno effetti terapeutici e le fibre non sono una panacea nel prevenire o curare la stipsi. Numerosissimi però sono i provvedimenti che si possono utilizzare per accelerare il transito e facilitare l’evacuazione stimolando l’attività contrattile colorettale e/o idratando le feci.

Fibre della dieta e degli agenti di massa
Con un adeguato introito di acqua le fibre sono usate per riequilibrare diete povere di scorie, idratare le feci, effetto massa, distendere il lume colico, stimolare la peristalsi e accelerare il transito colo-rettale. Scarsi, però, sono gli studi controllati in merito. Pare comunque che le fibre solubili (psyllium, inulina) migliorino i sintomi generali, lo sforzo e il dolore defecatorio, la consistenza delle feci e la frequenza delle evacuazioni. Meno evidenti invece sono i benefici delle fibre insolubili (crusca). Da tenere presente però che, per i fenomeni fermentativi, le fibre causano distensione addominale e, spesso, si associano a dispepsia (difficoltà digestive). Per questo la loro assunzione deve essere controllata.

Lassativi osmotici come il “Macrogol”
Si tratta di una sostanza inerte, non fermentabile da parte della flora batterica e non assorbibile dal tratto gastrointestinale. Di particolare interesse è che questa risposta favorevole sulla stipsi si ottiene senza quegli effetti collaterali, quali l’urgenza defecatoria con emissione di feci liquide, il dolore e la distensione addominale, che accompagnano spesso l’uso di altri lassativi.

Lassativi Enterocinetici come la “Prucalopride”
È un potente, selettivo e specifico agonista dei recettori 5HT4 e avvia l’attività di contrazione propulsiva con effetto di accelerazione del transito del contenuto dal colon al retto. Migliora i disturbi dell’alvo, i sintomi addominali di distensione, il dolore associato e la qualità di vita. Non ha effetti collaterali cardiaci e rari e brevi sono gli effetti indesiderati.

Lassativi prosecretori e secretagoghi come la “Linaclotide”
Attenua il dolore e aumenta la secrezione di liquidi nell'intestino, ammorbidendo le feci e migliorando la peristalsi cioè l’attività propulsiva dell’intestino.

Altri lassativi, tra cui “stimolanti da contatto e evacuanti rettali” (es. cascara, senna, lubrificanti, glicerolo, clismi) pur essendo usati con beneficio, mancano di studi clinici controllati sulla loro efficacia.

Un cenno, infine, ad altre terapie che possono essere prese in considerazione in pazienti selezionati con stipsi refrattaria in centri specializzati dopo attenta valutazione collegiale da parte del gastroenterologo, del chirurgo colo proctologo e dello psichiatra. Tra queste la chirurgia che però è ad elevato rischio di insuccesso terapeutico e quindi l’indicazione va posta con estrema prudenza. Poi la neuromodulazione sacrale metodica che comporta l’impianto di un dispositivo di stimolo elettrico diretto delle radici sacrali S2 o S3 o S4, mediante elettrodi, da riservare anch’essa a centri di riferimento e pazienti selezionati non rispondenti alla terapia conservativa. Non ultima la possibilità di eseguire un trattamento riabilitativo mediante “Biofeedback e elettrostimolazioni anali”, per pazienti dissinergici (cioè con mancato rilasciamento dello sfintere anale esterno e/o del muscolo pubo-rettale), il cui miglioramento non supera il 30%.

Vietato sottovalutare
Contrariamente a quanto generalmente si ritiene, la stipi cronica può essere causa non solo di un peggioramento reale della qualità di vita, ma anche di alterazioni anatomiche e complicanze. I pazienti con stipsi cronica vengono spesso inoltre sottoposti a indagini invasive e, seppur poco frequentemente, anche a interventi chirurgici non appropriati. Per restituire dignità e dare sollievo a questi pazienti è dovere degli specialisti evitare di discriminarli o colpevolizzarli, riconoscendo l’esistenza dei loro disturbi e legittimando la loro sofferenza. Quindi, oltre a riconoscere questa entità clinica devono essere individuati percorsi diagnostico-terapeutici appropriati, specie da parte dei medici di medicina generale, al fine di evitare indagini superflue, ricorso al pronto soccorso e inutili ricoveri ospedalieri riservando, invece, ai centri specialistici la gestione di quei pazienti con manifestazioni severe e che non rispondono alle terapie iniziali.

Attenzione ad alimentazione scorretta e stress
Anche se l’origine della stipsi cronica non è stata ancora esattamente chiarita e non tutti gli studi scientifici sono concordi, oggi si ritiene che le cause siano da ricercare nell’interazione tra predisposizione genetica (frequente storia familiare di stipsi); fattori ambientali (sedentarietà, scarso consumo di fibre e cereali, inadeguato apporto di liquidi); fattori psicologici (ansia, depressione, eventi stressanti); alterata funzione colo-retto-anale (dissinergia addomino-pelvica, inadeguata propulsione rettale, diminuzione o aumento della sensibilità rettale, alterazioni motorie colo-rettali). Va sottolineato comunque che molto spesso tutte le alterazioni riscontrate nei pazienti con stipsi funzionale si possono osservare anche in persone che non hanno alcun disturbo e che in molti pazienti stitici, invece, si può non riscontrare alcun fattore predisponente.

a cura del Dott. ROBERTO ANTONIO NORIS
Specialista in Gastroenterologia
- responsabile laboratorio di fisiopatologia digestiva, azienda ospedaliera bolognini di seriate