Tempi di recupero più brevi con la chirurgia mini-invasiva a risparmio tissutale.
È uno tra gli interventi più frequenti in Italia (circa 70.000 operazioni all’anno). Nella maggior parte dei casi vi si ricorre in seguito a problemi di artrosi severa, motivo per il quale i pazienti che vi si sottopongono sono in genere (anche se non sempre) in età avanzata. Parliamo della sostituzione protesica dell’anca, un’operazione ormai di routine che da anni viene effettuata con la chirurgia mini-invasiva, o meglio ancora con la chirurgia a risparmio tissutale (TSS - tissues sparing surgery) tecnica che, se eseguita correttamente, permette un più rapido recupero e ritorno alla vita quotidiana.

Displasia congenita, artrosi, traumi: i nemici dell’articolazione
Le patologie dell'anca sono molto numerose. In età infantile e nella prima giovinezza sono possibili displasia congenita, morbo di Perthes, epifisiolisi (lesione ossea-cartilaginea a livello del collo e della testa del femore), infezioni, traumi. In età adulta prevalgono di gran lunga le patologie degenerative, cioè le coxartrosi (ovvero l’artrosi dell’anca). Le coxartrosi possono essere primitive o secondarie. Queste ultime sono dovute a patologie pregresse: displasie congenite, fratture, necrosi della testa femorale, epifisiolisi, infezioni etc. Un’altra patologia grave che può colpire l’anca, favorendo la comparsa di artrosi, è l'artrite reumatoide, malattia infiammatoria cronica dovuta alla proliferazione anomala della membrana sinoviale che infiltra e distrugge la testa femorale. Quale sia la causa, la coxartrosi si manifesta sempre con l’usura della cartilagine che riveste testa femorale e acetabolo. In conseguenza di ciò il paziente avverte dolori più o meno intensi in sede inguinale e alla natica; compare zoppia, dovuta al dolore e alla riduzione del braccio di leva dei glutei. L'esame clinico rivela la ridotta apertura (abduzione) dell'anca affetta e la netta riduzione, fino al blocco completo, delle rotazioni. Questo ostacola alcuni gesti elementari della vita quotidiana come indossare calze e pantaloni, mettere le scarpe, perfino praticare sesso. L'esame radiografico è l'accertamento diagnostico essenziale. Esami complementari, in casi particolari, sono la TAC e la RMN.

Più a rischio donne e over 50
La fascia di età più colpita dalla coxartrosi è compresa tra i 50 e i 75 anni con una prevalenza del sesso femminile (60%). Nelle donne prevale l'origine displasica, quale esito di lussazione, sublussazione o semplice displasia congenita delle anche. Negli ultimi decenni assistiamo a un sempre maggior coinvolgimento di pazienti molto giovani, perfino ventenni e trentenni, dovuto prevalentemente a esiti di traumi.

Infiltrazioni e terapie fisiche solo nelle forme iniziali
I trattamenti alternativi alla chirurgia protesica sono pochi e spesso inefficaci. Il paziente con coxartrosi deve dimagrire se obeso, diminuire i carichi lavorativi e la prolungata deambulazione. Nelle forme appena iniziali qualche lieve e transitorio beneficio possono darlo le terapie fisiche e la fisiocinesiterapia. Le infiltrazioni articolari con acido ialuronico sono molto costose ma con beneficio poco sopra lo zero. In soggetti giovani con anche displasiche non ancora artrosiche (coxa valga sublussante, coxa vara, insufficienza del tetto acetabolare) sono possibili interventi chirurgici non protesici, detti osteotomie, cioè il taglio dell'osso per determinare una migliore centratura nel cotile della testa femorale. L'osteotomia può essere eseguita sul bacino per aumentare la copertura del tetto acetabolare (osteotomia di Chiari, di Kislich, di Ganz) oppure a livello del femore (osteotomia valgizzante o varizzante secondo Pawels, o Bombelli). Tuttavia, la durata dell'effetto terapeutico di tali osteotomie non è molto lunga; tali interventi, che non sono esenti da complicanze anche gravi, si possono eseguire solo quando non è ancora comparsa l'artrosi dell'anca.

La cura risolutiva? l’intervento di chirurgia protesica
In caso di artrosi severa dell’anca l'unico trattamento di scelta e definitivo è la chirurgia protesica, che consiste nel sostituire l'anca ammalata con un’anca artificiale, composta da uno stelo femorale in titanio su cui è applicata una testina protesica, e da un cotile (incàvo osseo con forma a scodella) emisferico sempre in titanio (materiale ad altissima biocompatibilità e resistenza) in cui è incastrato un inserto articolato con la testina protesica. Oltre al titanio per lo stelo e il cotile, la scelta da parte del chirurgo dei biomateriali per le altre parti della protesi è fondamentale per la durata della protesi stessa, in quanto il vero nemico delle protesi è l'usura. L'usura è maggiore se si impiega una testina metallica con un inserto in polietilene; è invece minore con testina in ceramica e inserto in polietilene; infine è quasi equivalente a zero negli accoppiamenti tra testina in ceramica e inserto in ceramica. Quest'ultimo accoppiamento garantisce una durata dell'impianto protesico anche di trenta anni, a patto che l'impianto venga eseguito da chirurghi ortopedici esperti. L'intervento protesico dura mediamente un'ora. Al paziente protesizzato viene concesso il carico completo dopo 48 ore. Dopo tre giorni dall'intervento viene trasferito in riabilitazione per circa 15 giorni. Alla dimissione il paziente è praticamente autonomo e può riprendere gradualmente le attività abituali.

 

Un'articolazione molto mobile
L'anca è l’articolazione tra la testa femorale e la cavità acetabolare del bacino, in altre parole l'articolazione che collega la gamba al bacino. È chiusa da una capsula articolare tappezzata al suo interno dalla membrana sinoviale e lungo la quale scorrono arterie che garantiscono la vitalità della testa femorale. Un’anca normale possiede un’ampissima mobilità in flessione, estensione, abduzione e adduzione, rotazione interna ed esterna. Il movimento, così come la stabilità dell’anca, sono permessI dai muscoli.

Piccole incisioni per piccole protesi
Nel caso di intervento di protesi d’anca, non basta effettuare una piccola incisione cutanea per parlare di chirurgia mini-invasiva. Oltre che un'incisione la più piccola possibile, è fondamentale che il chirurgo risparmi i tessuti muscolari intorno e soprattutto l'osso. Spesso infatti si assiste a incisioni piccole, ma con l'impianto di protesi molto grandi e alla lunga invasive. Le protesi oggi ideali, invece, sono quelle che risparmiano il collo femorale, di piccole dimensioni e facilmente osteointegrate. Questo permette un carico precoce, l'assenza di complicazioni tromboemboliche e il ritorno veloce alle attività lavorative.

Per chi decide di affrontare un lungo viaggio e deve rimanere seduto per molte ore, in assenza di specifiche esigenze, si consiglia l’uso di gambaletti con compressione alla caviglia di 15/20 mmHG. 
Nei negozi di ortopedia il tecnico ortopedico può aiutare alla corretta SCELTA del prodotto.

A cura di PROF. ALFREDO SAVARESE
Specialista in Ortopedia
- DIRETTORE UNITA' DI ORTOPEDIA IV ISTITUTO CLINICO S. ROCCO DI OME (BS) E UNITA' REPARTO DI ORTOPEDIA IX DELL'ISTITUTO CLINICO CITTA' DI BRESCIA, SPECIALISTA PRESSO AMBULATORIO KOALA DI TREVIGLIO -