«Ho cominciato a suonare la chitarra a 14 anni. Mi ha aiutato a superare un’infatuazione amorosa adolescenziale. Me l’aveva regalata mia madre, appassionata musicista. Da allora non ho più smesso e da qualche anno,con alcuni amici, abbiamo formato un gruppo composto da Marco (ndr. Rascaroli, anche lui neurologo), batterista, due imprenditori Valerio al basso e Luigi alla chitarra solista, e Roger, un top manager, alle tastiere. Questo gruppo, nato qualche anno fa in giugno, è stato chiamato No Tax Band (NTB) a stigmatizzare l’odiosa scadenza fiscale del mese. Il nostro genere? Blues e rock anni 70 alla Jimy Hendrix per capirci, i Led Zeppelin, ma non solo». Claudio Ferrante, 62 anni, è la voce e chitarrista dei “No tax band”. Di professione però è il responsabile della neurologia e del Centro di sclerosi multipla del Policlinico di Ponte San Pietro. Per lui neurologia e musica sono strettamente collegate. «La musica è fonte di profonde emozioni che sono l’elaborato del “lavoro” cerebrale».

E le emozioni riesce a trasmetterle anche quando fa i concerti. «Purtroppo non ho mai studiato musica a causa un difetto visivo congenito che non mi permette di leggere un pentagramma, pena un malessere simile al mal d’auto. Ho imparato però a suonare a orecchio su quella meravigliosa chitarra che mi diede mia mamma e su quella che mi regalarono il giorno della mia laurea, il 2 aprile 1981. Una chitarra eccezionale, una Ovation. Adesso però uso una chitarra semiacustica più adatta alle esigenze di amplificazione». Il nostro neurologo ce la descrive con passione. Sembra quasi di vederla in azione, di sentirla vibrare tra le sue mani. Ferrante è figlio d’arte: la mamma, di ascendenze austriache, era musicista, il papà di Pozzuoli, ufficiale dell’Aeronautica, durante la seconda guerra mondiale, ma anche attore e capo della filodrammatica puteolana in gioventù.

Ricorda ancora il primo concerto del gruppo: a Merate in un bar per la festa di apertura della primavera. Grande successo. La gente si fermava a sentire i brani blues dei “No tax band”. E altri concerti che i No tax band” aprivano con “Blues in Milan” di Nanni Svampa e Nino Patruno, due dei mitici “Gufi“. Il blues è il loro cavallo di battaglia. «È la fusione di musica afro e bianca. È paradossalmente gioiosa, il canto e la musica sono una magia, danno emozioni anche se le parole sono spesso drammatiche. La stessa sensazione che ho provato io a New Orleans. Avevo 28 anni e una sera sono andato nel quartiere francese e mi sono bloccato davanti a un anziano che suonava il sassofono. Sono stato lì davanti a lui, seduto per terra appoggiato alla saracinesca di un negozio chiuso, per tre ore: lui non ha mai smesso di suonare. Alla fine ci siamo mossi e ognuno è andato per la sua strada senza neppure salutarci. Io ero felice, commosso, di avere ascoltato un blues fantastico».

Uno dei prossimi obbiettivi è eseguire in un concerto “Creuza de ma” di Fabrizio De Andrè. «È un brano difficile, ma prima o poi lo faremo. Anche perché mia moglie ci chiede di inserire nel nostro repertorio qualche brano del grande Faber».

Ma prima ancora l’obbiettivo del medico è puntato sui giudici dell’ENCI (Ente Nazionale della Cinofilia Italiana) che dovrebbero riconoscere come cane di razza il Pastore del Lagorai, forse il progenitore di tutte le razze di cani pastori, la cui presenza, come risulta dai graffiti rupestri della Valcamonica risale a quasi tremila anni fa. Ferrante ha infatti un esemplare di sette mesi e si sta battendo perché possa essere la prima razza canina trentina di sempre e la diciassettesima di tutta Italia. Ci mostra con orgoglio la foto sul telefonino di Ozzy, chiamato come John Michael “Ozzy” Osbourne il cantautore, compositore e attore britannico, divenuto famoso prima con i Black Sabbath e poi con una carriera solista di grande successo, tanto da essere riconosciuto da tanti come “il padrino dell’heavy metal”. «Il nostro Ozzy è un giocherellone e non sta mai fermo» dice il neurologo. «Va d’accordissimo con Attila, l’altro cane, nero con gli occhi di giada, che abbiamo adottato. Era in un canile e nessuno lo voleva perché era nero». E chissà che un giorno il primario di neurologia non scriverà una canzone per i suoi due beniamini a quattro zampe.

a cura DI LUCIO BUONANNO