La fine di un amore, per l’elevato carico di stress e sofferenza che porta con sé, è un evento particolarmente critico, soprattutto quando la decisione di porre termine alla relazione è stata subìta o quando si è trattato di una scelta obbligata, anche se per autodifesa o per buon senso. Cuore a parte, quali meccanismi scattano per cui il tormento può diventare quasi fisico? Quali strategie si possono mettere in atto per “sopravvivere”, lenire il dolore e, col tempo, ricominciare una vita nuova rimettendosi in gioco in una relazione? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Rita Ferrari, psicologa.
Dottoressa Ferrari, succede nel nostro cervello quando veniamo lasciati?
Le neuroscienze hanno scoperto che, durante l’innamoramento, i circuiti neurali che si attivano nel cervello sono ampiamente sovrapponibili a quelli coinvolti nelle dipendenze da sostanze. La frequentazione della persona amata innesca, infatti, un potente meccanismo di gratificazione che spinge a ricercare la sua presenza e che può mandarci in tilt quando il partner non è più disponibile. L’ossitocina, in particolare, sembra svolgere un ruolo cruciale: l’alterazione che segue alla fine di una relazione determina un’impennata dei livelli di stress e dei comportamenti depressivi. Per questo, la sofferenza può essere ancora più devastante del dolore fisico e alcune persone rimangono agganciate all’ex come se si trattasse di una droga.
Ma quindi è sempre meglio smettere di vedere e sentire il partner?
Non esiste una ricetta passe-partout: per alcune coppie, l’interruzione “a comando” di ogni contatto risulta impossibile, altre si allontanano gradualmente, per esempio evitando di vedersi ma continuando a mantenere un contatto telefonico, per altre ancora una chiusura netta si rivela l’unico modo per riuscire a lasciarsi. In ogni caso, è importante sapere che interrompere i contatti con il partner indebolisce i circuiti neurali coinvolti e dà modo all’ossitocina e a neurotrasmettitori come dopamina e noradrenalina di stabilizzarsi, permettendo al corpo di ritornare in equilibrio.
In quali casi superare la fine di un amore si rivela particolarmente difficile?
Quando la coppia era fusionale, ovvero con pochi spazi di autonomia individuale, quando la rottura è stata del tutto inaspettata, quando vi era un forte investimento in termini di progetti futuri e infine quando alla sofferenza si aggiungono preoccupazioni di tipo pratico, spesso legate all’abitazione e più in generale all’aspetto economico. Ci sono poi caratteristiche personali che possono contribuire a rendere un abbandono particolarmente gravoso: scarse abilità di far fronte alle avversità, incapacità di chiedere conforto, mancanza di legami familiari e amicali solidi, una vita professionale poco gratificante e, in generale, una vita percepita come poco appagante.
Spesso si sente dire che “chiodo schiaccia chiodo”. È vero?
Dopo la fine di una relazione si può avere la tentazione di gettarsi velocemente tra le braccia di un altro partner, non tanto per vendetta, quanto perché si spera così di lenire il dolore, distraendosi per renderlo più tollerabile. Tuttavia, darsi tempo per elaborare la perdita è un passo necessario per recuperare un buon equilibrio interiore. Solo dopo si potrà essere pronti a iniziare una relazione sana con un altro partner.
Cosa invece può essere di aiuto?
Sforzarsi di vivere il dolore con ottimismo. Può sembrare un paradosso, invece è una delle chiavi di volta per uscirne: una certa quota di sofferenza va messa in conto, con la consapevolezza, però, che si tratta di una fase destinata a finire. Quindi, concedersi di non tornare subito alla vita di prima ma anzi, specie nei primi giorni, se il dolore dovesse essere particolarmente acuto, accontentarsi di sopravvivere (mangiare, dormire, andare al lavoro): le delicate variazioni ormonali e neurali in corso hanno bisogno di tempo per assestarsi. Poi cercare conforto presso amici e familiari: esporre il proprio punto di vista e i propri sentimenti permette già una prima rielaborazione. Infine, cercare attivamente altre gratificazioni, ovvero dedicarsi ad attività che si trovano piacevoli, sforzandosi di fare caso alle sensazioni di benessere che piano piano cominceranno a riaffiorare. Da un punto di vista emotivo, cercare di non colpevolizzare eccessivamente l’altro se non ricambia più il nostro trasporto: i sentimenti non sono una colpa e nemmeno i non sentimenti. Riflettere sul fatto che non abbiamo le redini della relazione e soprattutto non abbiamo alcun controllo su sentimenti e decisioni dell’altro, ma possiamo tenere ben salde quelle della nostra vita. Anche cercare di comprendere come si ha contribuito al naufragio del rapporto aiuta a sentirsi non solo vittime degli eventi, ma co-costruttori di una storia che, anche se è andata come è andata, con ogni probabilità ha insegnato qualcosa, non fosse altro cosa non si vuole da un partner.
Quando può essere utile rivolgersi a un esperto?
Quando il dolore appare intollerabile, si rimugina continuamente su quello che è accaduto e si fatica a comprendere i motivi che hanno portato alla chiusura, quando non si riesce a riprendere le normali attività quotidiane e i sentimenti prevalenti rimangono tristezza e senso di fallimento. Attenzione anche quando sembra che la storia si ripeta, con svariate relazioni precedenti che hanno avuto un’evoluzione simile: è possibile che ci sia un meccanismo che non abbiamo compreso e che, per questo, non possiamo fare altro che subire.
A cura di Viola Compostella
con la collaborazione della dottoressa Rita Ferrari
Psicologa
Studio Pronto Aiuto Psicologico Bergamo