In questo momento in cui ci si riaffaccia al mondo e si ritorna, pur con tante incertezze e preoccupazioni, a percepire la dimensione sociale delle nostre esperienze, diventa particolarmente significativo elaborare, anche collettivamente, ciò che abbiamo vissuto. La vita precedente al Covid-19, basata su sentimenti di certezza e sicurezza, che ognuno aveva, a suo titolo, strutturato su criteri economici, affettivi e/o relazionali è stata attraversata da una profonda scossa; ora il compito comune è quello di cercare un nuovo equilibrio psichico, fondato su nuove consapevolezze. «Per certi versi, siamo tutti coinvolti in un processo di elaborazione del lutto, poiché siamo chiamati ad abbandonare una parte di noi per reinvestire un nuovo modo di stare nella vita. Da questo punto di vista, il compito di congedare il nostro rapporto con il mondo pre-pandemia ci accomuna tutti e può guidare la ripartenza sul piano delle relazioni e promuovere una maggior coesione sociale» osserva la dottoressa Laura Appolonia, psicologa e psicoterapeuta. 
Nella solitudine della quarantena molte persone si sono trovate ad affrontare la perdita dei loro cari. La malattia e la morte hanno fatto irruzione nelle nostre vite, nei nostri ospedali, nelle nostre case, nelle nostre strade. Nella distanza imposta dal rischio di contagio, il conforto nel dolore è stato ridotto al minimo e si è amplificata la sofferenza, di chi stava vivendo il lutto in primo luogo e di chi ne era coinvolto e ha assistito impotente senza poter manifestare sostegno e solidarietà attraverso il contatto.
«Mai come in questo momento sarà necessario che il lutto trovi spazi di espressione, di condivisione e di racconto, perché l'elaborazione non sarà necessaria "solo" per l'individuo, direttamente interessato dalla perdita, ma anche per la comunità attraversata da rotture e separazioni traumatiche» fa notare la dottoressa Laura Rosti, psicologa e psicoterapeuta.

Dottoressa Appolonia, facciamo un passo indietro, prima di questa emergenza sanitaria come affrontavamo la perdita dei nostri cari?
Nella vita pre-pandemia i ritmi e gli spazi saturi del nostro vivere quotidiano avevano ridotto all’osso la possibilità di elaborazione collettiva del lutto. Non c’era più tempo per fermarsi a piangere, a pensare l’assenza e sostare nel racconto: basti pensare che di fronte al lutto di un parente le persone avevano a disposizione due o tre giorni di congedo lavorativo per poi tornare operativi, come se quel tempo fosse bastato a contenere il dolore e a ripartire mentalmente. Sappiamo che non è possibile, che ci vuole almeno un anno in condizioni non patologiche per tornare a vivere dopo un lutto importante, ci vuole almeno un anno affinché il pensiero investa su altro.

Che cosa è cambiato o può cambiare Dott.ssa Rosti?
L'esperienza che abbiamo vissuto a causa di questa pandemia può essere un'opportunità per tornare a dare un valore sociale e collettivo al lutto, per tornare a dedicare un tempo speciale all'elaborazione. La quarantena ci ha restituito un tempo lento, che però è stato spesso un tempo in solitudine. Le perdite durante l'emergenza Covid sono stati lutti muti, senza un saluto rituale, sono state separazioni nella separazione. La narrazione di ciò che è accaduto, di sé in relazione a ciò che è accaduto e il racconto di chi era colui che è mancato è stata delegata ai singoli individui o ai nuclei famigliari ristretti e ha abitato la dimensione intima e privata della casa, dove spesso sono state portate le ceneri dei propri cari. In pochi altri contesti sociali è stata data parola al lutto: nelle corsie degli ospedali, gli operatori sanitari sono stati chiamati a “parlare” di queste morti e a darne comunicazione; nei cimiteri, gli operatori delle pompe funebri hanno accompagnato le salme fino alla cremazione; qualche parroco nelle comunità è diventato depositario dei racconti sul lutto e alcune figure istituzionali hanno restituito visibilità ai cittadini del loro territorio che se ne andavano, spesso attraverso i social media. Il resto è stato relegato ad iniziative personali che vanno oggi rimesse in rete, perché si riallacci il filo di una narrazione collettiva, spezzatosi improvvisamente. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di dedicare un tempo nuovo alla condivisione del lutto, affinché alla polis venga restituito il compito di testimoniare la fine di una vita e farsi carico della memoria, del ricordo e del senso.

Dottoressa Appolonia perché non potere celebrare le esequie di questi cari ha lasciato tanto spiazzati i familiari?
Un lutto generalmente è accompagnato da un rito di passaggio che non assume solo una funzione religiosa ma avvia un processo di elaborazione. Nel poter vegliare il corpo, nel poterlo accompagnare e piangere, la morte diventa visibile; il dolore trova un confine nel corpo e le emozioni trovano collocazione nel racconto. In questo modo il lutto da privato diviene pubblico, nel senso di “consegnato al mondo”. Darci un tempo condiviso per elaborare le perdite, che abbiamo subito a più livelli, può rappresentare un'opportunità per trasformare il senso di sospensione che abbiamo sperimentato da vissuto di vuoto e alienazione a possibilità di contatto. Non esiste un sistema di coordinate già dato a cui far riferimento per rappresentarsi psichicamente l’esperienza che abbiamo vissuto, per questo è compito di ognuno e di tutti cercare nel proprio patrimonio di racconti, acquisiti ed ereditati, quelle storie capaci di generare ponti dove abbiamo incontrato abissi di non pensabilità e renderle disponibili.

C’è modo di riprendere il filo degli avvenimenti e rielaborarli per superare questo trauma collettivo?
Possiamo ripartire prendendoci cura del tessuto sociale, delle reti territoriali, delle nostre Comunità, perché diventino luoghi di ascolto e testimonianza a partire dai quali ricucire ciò che è stato strappato. Accanto a spazi di elaborazione spontanei, che nel potersi finalmente ritrovare nasceranno in ogni incontro, crediamo si possano istituire dei momenti condotti che facilitino e aiutino le persone a confrontarsi con quanto accaduto, a condividere e ad elaborare il dramma che ha travolto questo tempo. In questo senso, sappiamo che lo psicoterapeuta non va inteso “solo” come esperto di processi mentali, chiamato ad intervenire nella clinica del disagio psichico, ma può anche rappresentare un facilitatore nei processi di elaborazione gruppale. La conoscenza delle dinamiche e delle caratteristiche che rendono l’interazione di gruppo efficace e costruttiva può essere utilmente applicata all’interno delle Comunità. Un piccolo gruppo condotto può diventare un ponte che permette all’individuo di aprirsi nel sociale e ai contesti istituzionali e socio-culturali di umanizzarsi, in un reciproco scambio.

A cura di Lella Fonseca
Con la collaborazione delle dottoresse Laura Rosti e Laura Appolonia
Psicologhe e psicoterapeute dello Studio Macramè di Bergamo
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