Per una coppia un aborto è già di per sé un evento traumatico, quando poi si ripete può davvero minare l’equilibrio psico-fisico. Ma quali sono le cause della cosiddetta “sindrome da aborto ricorrente”? Cosa si può fare per prevenirla? Ed esistono terapie? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Serena Pirola, ginecologa.
Dottoressa Pirola, quando l’aborto spontaneo si definisce ricorrente?
La definizione di aborto spontaneo ricorrente (RPL) è variabile, rendendo più difficile lo studio di questo fenomeno e la determinazione di quali pazienti/coppie indirizzare ad approfondimenti diagnostici ed eventuali terapie. Ad oggi, la sindrome dell’aborto spontaneo ricorrente è una delle aree più complesse della medicina riproduttiva poiché le sue cause sono spesso sconosciute ed esistono pochi percorsi diagnostico-terapeutici evidence-based. La definizione di aborto spontaneo ricorrente più frequentemente utilizzata in ambito scientifico internazionale è: “il verificarsi di tre aborti spontanei consecutivi in gravidanze non necessariamente intrauterine (cioè devono essere considerate anche le eventuali gravidanze a impianto extrauterino) in epoca gestazionale inferiore alla 20^ settimana di gravidanza”. Dati recenti ci dicono che, attualmente, la sua prevalenza è di circa 0.4 % di tutte le donne gravide e aumenta con l’età materna.
Quali possono essere le cause?
Le coppie che hanno sperimentato un aborto spontaneo hanno due preoccupazioni principali: la causa che l’ha determinato e la probabilità che ciò si ripeta. Sfortunatamente, solo nel 50% delle pazienti con diagnosi di aborto spontaneo ricorrente (RPL) siamo in grado di determinarne la causa. Tra le più frequenti:
> cause anatomiche - anomalie uterine acquisite e congenite responsabili del 10-50 % degli aborti spontanei ricorrenti; fibromi, soprattutto quelli che invadono la cavità endometriale che deve accogliere la gravidanza; aderenze intrauterine che possono derivare da precedenti raschiamenti endometriali;
> immunologiche - Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi-APS, unica patologia autoimmune in cui l’aborto spontaneo ricorrente-RPL è un criterio diagnostico. Il 5-15% delle pazienti con aborto spontaneo ricorrente-RPL può avere questa patologia;
> genetiche - anomalie della struttura o del numero dei cromosomi;
> endocrine - possono essere responsabili del 15-60% di aborti spontanei ricorrenti-RPL (diabete mellito non compensato, PCOS-Sindrome dell’Ovaio Policistico, patologie tiroidee soprattutto se in presenza di autoanticorpi tiroidei, valori di prolattina troppo elevati, celiachie);
> trombofiliche - alcuni difetti della coagulazione del sangue (soprattutto se in presenza di altri fattori di rischio), età materna, fattori ambientali (occupazionali, stress, esposizione ad agenti chimici…) e abitudini del soggetto (fumo di sigaretta, obesità, abuso di alcolici…); il loro ruolo individuale è ancora incerto, ma possono agire sinergicamente o in modo dose-dipendente.
Sembra che anche il “fattore maschile” (anomalie spermatiche) possa rivestire un ruolo causale nella sindrome da aborto spontaneo ricorrente. Tipicamente questi aborti spontanei accadono a epoche gestazionali simili in gravidanze consecutive e la probabilità che questo evento si ripeta aumenta con l’avanzare dell’epoca gestazionale del suo verificarsi.
Come se ne possono determinare le cause?
Basandoci sui dati attuali è importante ricordare che la maggior parte delle pazienti con aborto spontaneo ricorrente ha una buona prognosi di ottenere e portare avanti con successo una gravidanza, anche nel caso in cui non sia stato possibile formulare una diagnosi e intraprendere alcun trattamento. Il primo passo diagnostico consiste nell’eseguire un’anamnesi personale e familiare completa e un esame obiettivo accurato non solo fisico ma anche psicologico. È importante raccogliere informazioni dettagliate in merito a precedenti gravidanze, regolarità dei cicli mestruali, esecuzioni di eventuali interventi chirurgici pregressi a carico dell’apparato genitale, escludere che sussistano anomalie congenite o cromosomiche ereditabili, consanguineità. Tra gli esami più utili: l’esecuzione dell’ecografia transvaginale e transaddominale per escludere, ad esempio, la presenza di fibromi; la sonoisterografia (o l’ isterosalpingografia) per escludere eventuali cause anatomiche che possano determinare la ricorrenza dell’aborto spontaneo; lo studio del cariotipo (studio dei cromosomi attraverso un prelievo di sangue) di entrambi i partner per escludere anomalie cromosomiche che potrebbero essere trasmesse al feto; lo screening immunologico per l’esclusione della Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi (prelievo di sangue materno per il dosaggio degli anticorpi anticardiolipina e lupus anticoagulante); lo screening per patologie della tiroide (prelievo di sangue materno per la ricerca di autoanticorpi tiroidei). Infine, possono completare l’iter diagnostico anche lo studio dello stato trombofilico (coagulazione del sangue) materno e lo screening per la diagnosi del diabete mellito. A esclusione dello studio del cariotipo (cromosomi), ad oggi, non sembra esserci evidenza dell’utilità di eseguire ulteriori accertamenti sul partner maschile, sebbene anomalie spermatiche (frammentazione del DNA) siano state associate ad aborto spontaneo.
Quali sono le possibili terapie per prevenirlo?
Purtroppo i dati scientifici a nostra disposizione sono scarsi e le raccomandazioni terapeutiche attualmente in vigore si basano principalmente sull’esperienza clinica e studi osservazionali. L’intervento terapeutico è guidato dalla causa che determina il ripetersi dell’aborto spontaneo, qualora sia stato possibile identificarla. Nei casi in cui sia stata diagnosticata un’anomalia uterina suscettibile di trattamento chirurgico (ad esempio setto uterino, fibromi, aderenze intrauterine etc.), questa è la terapia di scelta. Nelle pazienti con diagnosi di Sindrome da Anticorpi Antifosfolipidi-APS l’impiego di farmaci quali l’acido acetilsalicilico (Aspirina) e l’eparina, sembrano migliorare l’esito della gravidanza ma, al contrario, non sono efficaci nelle pazienti che non presentino questa patologia. Le pazienti nelle quali sia stata riscontrata una disfunzione della tiroide, diabete mellito, o uno stato trombofilico (ipercoagulabilità del sangue) devono essere trattate con la terapia adeguata prevista per ciascuna di queste condizioni. Infine, vengono indirizzate al medico genetista le coppie in cui sia stata scoperta un’anomalia cromosomica. È doveroso ricordare che la causa dell’aborto spontaneo ricorrente rimane sconosciuta nella metà delle coppie, approssimativamente, nonostante le valutazioni accurate alle quali si è sottoposta. Negli anni sono state proposte numerose altre strategie terapeutiche, dalle più semplici e meno costose (modifica degli stili di vita) alle più complesse e costose con la sperimentazione di svariati farmaci che, ad oggi, non hanno ancora portato al successo sperato. Una notizia positiva ci viene dall’osservazione che nelle donne con aborto spontaneo ricorrente precoce (inizio primo trimestre di gravidanza), la visualizzazione dell’attività cardiaca fetale è un fattore prognostico rassicurante per una gravidanza vitale successiva, sebbene il rischio di aborto spontaneo permanga maggiore rispetto a quello della popolazione generale. La ricerca e la medicina devono fare ancora molto per le nostre pazienti in questo campo ma, oggi più che mai, confidiamo in loro.
A cura di Elena Buonanno
con la collaborazione della Dott.ssa Serena Pirola
USC Ostetricia e Ginecologia ASST Papa Giovanni XXIII Bergamo