La disfagia, ovvero la difficoltà a deglutire alimenti o bevande, colpisce circa il 20% della popolazione e in percentuale maggiore gli anziani, soprattutto se affetti da demenza. Ci sono poi patologie che, a qualsiasi età, predispongono alla disfagia come ictus cerebrale, sclerosi multipla, morbo di Parkinson, neoplasie del distretto orofaringeo etc.. Si tratta di una malattia pericolosa, che può incidere in modo importante sulla salute e sulla qualità di vita di chi ne soffre. Per questo è importante avvalersi sempre della collaborazione del proprio medico curante, affidando i casi più complessi allo specialista (otorinolaringoiatra, geriatra, neurologo). Esistono però alcune semplici strategie che possono aiutare efficacemente a ridurne le complicanze.
Quando l’epiglottide non si chiude più e il cibo passa nelle vie respiratorie
La disfagia è un disturbo che consiste nell’incapacità di deglutire i cibi in maniera corretta. Può riguardare sia i cibi solidi sia liquidi e comporta una notevole difficoltà nell’alimentazione, poiché chi ne è colpito fatica a ingerire i cibi, sentendosi spesso soffocare. Si manifesta perché, a livello della gola, vi è la suddivisione tra vie respiratorie e vie digestive: il cibo, attraverso la faringe, procede verso l’esofago mentre l’aria percorre la laringe e da qui raggiunge i polmoni, passando attraverso la trachea. Esofago e trachea sono due “tubi” molto vicini, motivo per cui è facile che il cibo, inavvertitamente, sbagli percorso e arrivi in trachea. Per evitare che questo succeda possediamo una valvola, chiamata epiglottide, che, al momento del passaggio del cibo, chiude la laringe forzando il cibo masticato a percorrere la via corretta verso l’esofago. Una persona con disfagia perde il controllo di questo meccanismo: la sua epiglottide rimane spesso alzata, consentendo al cibo di entrare anche nella trachea. Quando ciò avviene c’è un elevato rischio di soffocamento e solitamente il nostro organismo attiva il meccanismo della tosse per liberare il canale respiratorio dall’ostruzione.
Anche l’ambiente conta
L’ambiente riveste un ruolo importante nel permettere una corretta alimentazione: prima di iniziare un pasto si deve favorire un ambiente sereno, senza troppe distrazioni, e controllare che la persona sia vigile e tranquilla. Va posizionata seduta, con i piedi appoggiati a terra e con eventuali sostegni alla testa, che deve essere sempre leggermente flessa. Se è allettata, è utile alzare lo schienale del letto di almeno 45 gradi. Chi aiuta la persona a mangiare deve stare seduto al suo stesso livello e cercare di non farla parlare, evitando l’uso di cannucce o siringhe in quanto creano difficoltà nel controllo della quantità e del flusso dei liquidi. Inoltre è bene non introdurre un nuovo boccone se quello precedente non è stato deglutito. Dopo il pasto è importante eseguire un’accurata igiene orale, controllare che non ci siano residui di cibo in bocca e tenere la persona in posizione seduta per altri 30-60 minuti.
Tosse, rigurgiti, sensazione di cibo in gola, i segnali da non trascurare
Per la persona che assiste l’anziano (o chi soffre delle patologie sopra citate) sospettare un problema di disfagia è abbastanza facile: è necessario prestare attenzione durante i pasti a eventuali episodi di tosse, alla necessità di schiarire frequentemente la voce, alla sensazione di cibo fermo in gola, alla presenza di rigurgiti o di voce gorgogliante. Infatti se saliva e cibo, che inevitabilmente contengono batteri, arrivano ai polmoni, possono provocare polmoniti, chiamate per l’appunto ab ingestis, una tra le complicanze più temibili della disfagia.
Prima regola: modificare la consistenza degli alimenti e aumentare la frequenza dei pasti
Il punto di partenza nella gestione dei pazienti disfagici consiste nella modificazione delle consistenze alimentari. Esistono inoltre modalità di intervento più mirate alla gestione della disfagia come, ad esempio, il trattamento logopedico, che prevede esercizi specifici per ciascun paziente. La scelta degli alimenti è strettamente correlata al tipo e al grado di disfagia e va concordata con il medico. In generale, nei casi meno gravi, può essere utile aumentare la frequenza dei pasti riducendo le quantità e tagliando il cibo in piccoli pezzi. Vanno evitati alcolici, tabacchi e caffeina. Sono altresì sconsigliati i cibi appiccicosi (formaggi pastosi) o quelli che si sbriciolano (fette biscottate, cracker) e pasti a doppia consistenza (pastina in brodo, minestrone). È importante, in questa fase, considerare i gusti e le preferenze della persona, le eventuali patologie concomitanti e il suo stato nutrizionale. Solitamente è preferibile scegliere una dieta con calorie e valori nutritivi elevati per compensare la ridotta assunzione di alimenti tipica del soggetto anziano, soprattutto se disfagico. Il grado di densità dei liquidi (acqua, the, succhi, brodo) può essere modificato con l’aggiunta di addensanti naturali (fecola di patate, farina di riso) o artificiali (polveri insapori che si acquistano in farmacia), in grado di rendere i liquidi più facilmente deglutibili. Nei casi moderati, invece, occorre fornire un pasto morbido o frullato. Ci sono infine delle persone che, nonostante le modificazioni dietetiche, non riescono a deglutire correttamente: previa valutazione dei rischi e dei benefici, potrebbero essere candidati al posizionamento di PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea), ovvero un tubo tramite il quale il cibo viene immesso dall’esterno direttamente nello stomaco, bypassando bocca ed esofago.
A cura della dott.ssa Sara Zazzetta
Specialista in Geriatria
Ospedale Briolini Gazzaniga
ASST-Bergamo Est