Il dolore nella parte anteriore del piede può avere cause diverse, per questo il primo passo è individuarle correttamente.
Il piede si mantiene tanto più efficiente quanto più è elastico. Lo si capisce se si osserva la sua forma, anche in posizione statica. Ma ancor più durante lo svolgimento del passo. Durante la marcia infatti si alternano movimenti di ammortizzazione (pronazione) e spinta (supinazione) che garantiscono l’adeguamento del piede ai vari tipi di terreno e la progressione regolare del passo. L’area anteriore del piede (regione metatarsale) è certamente molto sollecitata nella fase propulsiva del passo. Seppure robuste, le sue strutture (capsule articolari, legamenti, ossa, cute, sottocute, nervi, vasi sanguigni) durante il corso della vita possono andare incontro a usura. Da qui nascono i sintomi dolorosi. Il termine generico di “metatarsalgia” definisce quindi un dolore in area metatarsale. Non ne definisce però le cause, né tanto meno fornisce indizi circa le strutture in sofferenza.
Le cause: da quella meccanica a quella neurologica
La causa più frequente è un’alterazione biomeccanica del piede definita “sindrome pronatoria”. Consiste in un eccesso di durata del periodo in cui il piede durante lo svolgimento del passo resta nella fase di ammortizzazione (pronazione). In questa situazione le sollecitazioni meccaniche sull’area metatarsale aumentano notevolmente, specie con forze di taglio che risultano estremamente dannose per le strutture anatomiche di questo distretto. Tale condizione clinicamente è riscontrata in quello che normalmente è definito “piede piatto pronato” cui spesso si associa la condizione di alluce valgo. I soggetti più colpiti sono le donne di età intermedia. Spesso i disturbi non sono legati alla deviazione in valgo dell’alluce, ma a un dolore alla base del secondo e terzo dito. In questa condizione infatti l’alluce è carente nella fase di spinta e si verifica la cosiddetta “metatarsalgia di trasferimento”, ovvero un carico anomalo, eccessivo e concentrato sui metatarsali centrali (anziché distribuito armoniosamente su tutta l’area metatarsale) che, più esili, non tollerano l’eccesso di sollecitazione meccanica. Certamente il peso corporeo e la lassità legamentosa tipica dell’età che precede la menopausa rappresentano importanti aggravanti in grado di far peggiorare rapidamente i disturbi. Esistono poi molteplici condizioni patologiche che possono arrecare danno all’area metatarsale come malattie sistemiche, metaboliche (diabete), reumatiche, neurologiche e perfino psichiche. Analogamente al piede piatto anche il piede cavo, con meccanismo differente, il piede equino, il piede dismorfico, per deformità congenite o post traumatiche, possono favorire l’insorgenza di problemi di metatarsalgia. Da ultimo quadri dolorosi dell’avampiede si riscontrano per eccesso di sollecitazioni funzionali come nel caso delle fratture da stress tipiche dello sportivo.
Visita accurata ed esami radiologici per la diagnosi
Certamente il paziente per primo riconosce da sé la sede del dolore e la riferisce al medico. Spetta quindi a quest’ultimo individuare quelle condizioni patologiche che può rilevare attraverso un’accurata anamnesi e un altrettanto accurato esame clinico, che devono quindi rappresentare un imprescindibile primo passo nella valutazione del paziente. Certamente gli esami strumentali aiutano, ma non devono mai sostituire l’oggettività ricavabile da una visita attenta e scrupolosa, quanto piuttosto integrarla. In primis un esame radiografico eseguito sempre in ortostasi (ossia sotto carico) fornisce da sé sufficienti informazioni che, se necessario, potranno essere integrate con esami più raffinati come l’ecografia, la TAC e la risonanza magnetica nucleare.
Donne, le più a rischio
Le donne di mezza età in moderato o gran sovrappeso sono più esposte al rischio di metatarsalgia. Può riguardare anche donne esili e scarne, prevalentemente per motivi di carenza di tessuto sottocutaneo in area di appoggio metatarsale. Vi sono tipologie di piede più predisposte per la forma. È il caso dei due opposti: il piede piatto ed il piede cavo, con tutte le sfumature che la natura fornisce alla varietà individuale. A volte però anche piedi perfettamente normali e ben strutturati possono presentare metatarsalgie importanti e violente. Facilmente in questi casi si riscontra la cosiddetta “metatarsalgia di Morton” una sorta di infiammazione di un nervo plantare (più frequentemente il terzo). In ambito lavorativo il sesso maschile è colpito nei soggetti che per necessità devono calzare scarpe antinfortunistiche particolarmente dure e per nulla ammortizzate. Un’altra condizione che si riscontra è quella di una giovane donna che utilizza abitualmente scarpe con tacco alto (8 cm e oltre). La posa innaturale del piede distorce le fasi dell’appoggio e della spinta del piede. Si concentrano carichi anomali sull’avampiede, non ammortizzabili anche per la scarsa consistenza della suola (genericamente in cuoio).
La prevenzione? Passa attraverso le calzature “giuste”
La prevenzione riguarda in primo luogo una costante attenzione all’uso di calzature congrue. In particolare, in certi soggetti predisposti, devono avere suole morbide ed in grado di ridurre le sollecitazioni di taglio sull’area metatarsale. Poi è necessario controllare il peso corporeo, i valori metabolici e un’accurata igiene personale della pianta del piede con frequenti e periodiche consultazioni, come nella condizione di diabete mellito. La valutazione specialistica potrà poi certamente dare indicazioni circa l’opportunità di fornire un plantare in grado di alleggerire la pressione in area metatarsale, consentendo così una riduzione della sintomatologia.
Plantari e trattamenti personalizzati per risolvere i disturbi
La cura di ogni patologia si desume da un’accurata diagnosi quindi il medico prescriverà adeguati plantari o solette personalizzate da rinnovare ogni due o tre anni. Il trattamento può essere integrato inoltre da cure fisiche e fisioterapiche. Da ultimo, al persistere dei disturbi, si può arrivare alla proposta chirurgica, che può comprendere diversi tipi di intervento. Questa soluzione deve però essere attentamente ponderata e spiegata al paziente, per renderlo il più possibile partecipe della cura.
A cura del dott. Carlo Cuni
Specialista in Ortopedia e Traumatologia
Unità di Ortopedia e Traumatologia
ASST Papa Giovanni XXIII Bergamo