Tutti i bambini nascono con i piedi piatti. Si tratta di una condizione normale e molto importante: il grasso presente e l’ampia mobilità delle articolazioni, infatti, consentono al bambino di non farsi male mentre sta imparando a camminare. Con l’aumentare dell’età, sino a circa 10-13 anni, anche il piede cresce, il calcagno si raddrizza, assume un aspetto migliore e “matura”. E nei casi in cui tutto ciò non succede? Ci aiutano a fare chiarezza i dottori Dario Fracassetti e Maurizio De Pellegrin, ortopedici e traumatologi.

Cosa si intende per piede piatto?

Il piede piatto consiste nell’assenza della volta plantare, nella caviglia che cade verso l’interno e nella sporgenza nella parte interna del piede.

Possiamo prevedere già in età infantile quali piedi non andranno incontro in futuro a maturazione spontanea?

Non possiamo prevedere quali piedi non avranno una maturazione e resteranno piatti.

Quindi cosa si può fare?

Mentre è stato dimostrato che l’uso di plantari non stimola lo sviluppo dei piedi, si ritiene che il rinforzo della muscolatura possa dare un contributo positivo. Alcune attività sportive, come danza, arti marziali, arrampicata, ginnastica artistica, prevedono la stimolazione della muscolatura specifica dei piedi e possono quindi essere considerate come una valida soluzione in attesa della maturazione.

Pertanto i plantari e la fisioterapia sono inutili?

Tre sono le caratteristiche che trasformano il piede da fisiologico a patologico: il dolore, la presenza di alluce valgo e la tensione o l’accorciamento del tendine di Achille con riduzione dei movimenti della caviglia. Nei bambini che non hanno ancora raggiunto i 10 anni e che si trovano ad avere una o più di queste tre caratteristiche, il plantare può essere utile perché, sostenendo passivamente il piede, ne contrasta i sintomi. Anche la fisioterapia è importante in presenza di tensione e accorciamento degli achillei; in particolare in quei bambini affetti da disfunzioni neuromotorie per i quali spesso non è possibile svolgere attività sportive e per tutti quei bambini che necessitano di training di rinforzo muscolare, di stimolazione propriocettiva (percezione e definizione della posizione nello spazio) del piede quale “organo” su cui appoggia tutto il corpo.

Raggiunta l’età dell’ipotetica maturazione, come si stabilisce se il piede è effettivamente maturato?

Nei piedi esageratamente piatti anche per i genitori è semplice individuare il problema, mentre nelle situazioni intermedie servono ulteriori esami di approfondimento, come la classica radiografia, che possono aiutare lo specialista a “classificare” il grado di deformità del piede. Ulteriore compito dello specialista è riassumere il quadro clinico e spiegare ai genitori la necessità di una correzione chirurgica.

Cosa succede se non si fa alcuna azione correttiva?

Mentre non si può offrire una risposta certa e specifica per il singolo individuo, cioè non è possibile stabilire se raggiunta l’età adulta i piedi avranno problemi, è possibile dare una risposta in termini statistici: possiamo affermare che la maggior parte delle problematiche legate ai piedi che spingono gli adulti a una consulenza ortopedica ha nei piedi piatti la causa principale. A questi pazienti si aggiunge anche la percentuale di adulti affetti da piedi piatti che, pur non dichiarando sintomi evidenti, limitano le proprie attività proprio per evitare che questi insorgano. In un adulto affetto da piedi piatti, se la terapia conservativa (plantari, tutori, scarpe ortopediche) non ha dato alcun risultato, la soluzione potrebbe essere la correzione chirurgica.

Ma l’intervento chirurgico è lo stesso per bambini e adulti?

No, il piede dell’adulto è formato e strutturato; modificarlo significa agire in modo importante sulla struttura ossea del piede. Nei bambini con il piede ancora in crescita, quindi “flessibile”, si agisce limitando un movimento esagerato di un’articolazione e, proprio in virtù dell’elasticità, il piede si corregge con la crescita residua. Tale tecnica si definisce “artrorisi” (limitazione di un movimento patologico) della sottoastragalica (articolazione posta tra le due ossa del retropiede: calcagno e astragalo).

In cosa consiste l’intervento chirurgico?

La tecnica prevede che, attraverso una piccola incisione cutanea, si introduca un dispositivo (vite) nella parte esterna del piede, che proprio come un fermo di una porta, riduce il movimento esagerato tra le due ossa, impedendo al piede di cadere verso l’interno e di deformarsi. Diversi sono i dispositivi che possono essere utilizzati, così come diversi sono i percorsi che potranno essere consigliati nel periodo post-operatorio. 

A cura di Maria Castellano
con la collaborazione del dott. Dario Fracassetti 
Specialista in Ortopedia e Traumatologia Ospedale Piccole Figlie, Parma
e del dott. Maurizio De Pellegrin 
Specialista in Ortopedia e Traumatologia Lifenet Healthcare, Milano