Piero Piazzi, 60 anni, ex modello e manager, tutt’ora attivo nel settore della moda, è anche testimonial dell’associazione Progetto Itaca, che si occupa di sensibilizzare sulla salute mentale.
Nell’ultimo anno ha deciso di raccontare apertamente, e senza censure, le difficoltà che ha incontrato sul suo percorso, per dimostrare che chiedere aiuto può davvero salvare la vita.
Piero, lei è una persona di successo, oggi cosa la motiva a restituire agli altri la sua esperienza di vita e cosa le ritorna?
La mia scelta di condividere e raccontare la mia esperienza con la depressione e la salute mentale non è né una forma di liberazione, né una confessione. Credo che avere successo sul lavoro e avere successo nella vita siano due cose molto diverse tra loro. In realtà, il mio successo è la vittoria su certe situazioni, come le dipendenze e, soprattutto, certe patologie di cui la gente si vergogna di parlare. Sono una persona discreta, se esco o mi esibisco in pubblico lo faccio perché ho un secondo fine, quasi mai lavorativo: oggi la mia priorità è aiutare gli altri. L’ho sempre avuta nella mia indole anche da bambino, quando giocavo preferivo giocare con i bambini down perché con loro trovavo dell’affinità, mi identificavo. Ho condiviso la mia esperienza per far capire che fragilità e debolezze possono diventare dei punti di forza.
Lei è diventato testimonial di Progetto Itaca, com’è nata la vostra collaborazione, se così può essere definita?
La missione di Progetto Itaca, associazione che promuove programmi di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione per le persone affette da disturbi della Salute Mentale a livello nazionale, combacia perfettamente con la mia: sensibilizzare e superare il tabù. Proprio per questo motivo ho deciso di intraprendere anche il percorso formativo per diventare volontario dell’associazione, portando la mia esperienza vissuta in questo ambito a servizio di chi ne ha bisogno. Ad ogni modo, la collaborazione è nata quasi per caso, parlando del mio vissuto con un’amica, Maria Gavazzeni - nuora della fondatrice Gughi Radice Fossati. Le ho raccontato la mia storia, mi è stata fatta la proposta e il resto è venuto in modo molto spontaneo e naturale. Conoscevo già la realtà dell’associazione, ma prima di diventare testimonial il mio desiderio era fare il corso da volontario che ho appena concluso e, soprattutto, informarmi su tutte le attività e le informazioni relative all’associazione.
Oggi (nda 25 novembre, giorno dell’intervista) è a Bergamo, ospite della sezione locale di Progetto Itaca che ha organizzato il torneo di tennis “Coppa Itaca Bergamo”.
Sì, sono molto felice di essere stato coinvolto in questa serata organizzata da Progetto Itaca Bergamo in collaborazione con il Tennis Club Bergamo. La sezione cittadina dell’associazione ormai è in forte espansione, a riprova di quanto è importante che in tutta Italia ci siano dei luoghi e delle realtà di riferimento per le malattie mentali, che sono in aumento soprattutto tra i giovani. Un progetto ambizioso di Progetto Itaca è anche quello di espandere gli omonimi Club, centri per lo sviluppo dell’autonomia socio-lavorativa di persone con una storia di disagio psichico, in ogni città dove è presente una sezione dell’associazione.
Il focus del suo lavoro, però, non è solo sulla salute mentale. Ci parli della sua associazione no-profit.
Da anni io e il mio socio Massimo Leonardelli siamo attivi in Sud Sudan e Uganda, due paesi africani particolarmente colpiti da povertà estrema e malattie, con il supporto di medici e volontari che si trovano sul campo. A novembre 2022, abbiamo deciso di “ufficializzare” il nostro impegno, fondando l’associazione no-profit To.Get.There ETS, che fornisce assistenza sanitaria, sostegno psicologico, aiuti per le spese scolastiche, cibo e beni primari per la tutela dei bambini orfani e sieropositivi in questi due paesi. In particolare, oltre a fornire programmi di educazione ed empowerment femminile sul tema della trasmissione dell’HIV, tra i progetti che stiamo sostenendo attualmente c’è l’Health Center To.Get.There, un centro dedicato a Papa Francesco che fornisce cure mediche di alta qualità e supporto alle comunità più vulnerabili, e la Casa Ragazzi Racisci a Gulu, una casa famiglia che offre rifugio, supporto e opportunità di riabilitazione ai giovani di «strada», in particolare quelli che lottano con la dipendenza da droghe e le sfide legate alla vita in strada. Personalmente mi reco spesso in Africa per verificare come e dove vengono investiti i fondi. Sono viaggi lunghi e difficili, ma ogni volta che torno “in patria” mi sento più ricco.
Dal suo “bilancio di vita”, che messaggio può lanciare?
Di non vergognarsi mai di niente, parlare subito e tirare fuori subito le proprie sensazioni ed emozioni. Bastano poche parole per chiedere aiuto. Il silenzio molto spesso può uccidere, perciò è importante, quando si presentano le prime avvisaglie di fragilità, rivolgersi ai medici, parlarne con gli amici o con i propri genitori. Nella società odierna, i giovani hanno troppo, tutto e subito. Questo però porta a una ricorrenza sempre più frequente di paranoia, depressione, e tante altre patologie che riguardano la sfera della salute mentale. Si pensa di essere già adulti e risoluti, quando invece ancora non lo si è. Insomma, non bisogna avere vergogna di affrontare le proprie fragilità e di riconoscere di avere bisogno di aiuto.
A cura di Claudio Gualdi