I bambini, si sa, sono vivaci, sempre in movimento, come se avessero un motorino costantemente acceso o batterie inesauribili! Quando invece si parla di bambini iperattivi o, meglio, con Disturbo da Deficit di Attenzione Iperattività (l’acronimo è l’inglese ADHD – Attention Deficit Hyperactivity Disorder)? Approfondiamo la tematica con il Prof. Gian Marco Marzocchi, del Centro per l’Età Evolutiva di Bergamo.

Dott. Marzocchi, innanzitutto, quali sono i sintomi dell’ADHD?

I sintomi dell’ADHD riguardano principalmente tre ambiti: la disattenzione, l’iperattività e l’impulsività. Le difficoltà di attenzione si manifestano nelle situazioni in cui il bambino deve sforzarsi di rimanere concentrato per un certo periodo di tempo, come ad esempio nelle attività scolastiche o quando deve eseguire attività che richiedono precisione e cura. La disattenzione, invece, non si manifesta nelle situazioni divertenti, come ad esempio nei videogiochi, perché in quelle situazioni i bambini non devono sforzarsi di stare concentrati, ma è l’attività stessa che cattura e mantiene la loro attenzione. L’iperattività è un comportamento che il bambino mette in atto per contrastare la disattenzione, spesso frutto della noia, che causa in loro disagio e malessere. Infine, l’impulsività si manifesta quando il bambino fornisce delle risposte prima di aver valutato le loro conseguenze: riflettere sui pro e contro delle proprie scelte richiede sforzo attentivo e questo non è “nelle corde” dei bambini con ADHD.

Come si può valutare la presenza della sindrome?

I bambini con difficoltà di attenzione, iperattività o impulsività sono davvero tanti ma, in realtà, quelli con ADHD sono circa il 5%. La distinzione, quindi, tra i bambini vivaci e bambini con sindrome da deficit dell’attenzione è molto importante: chi soffre di ADHD ha sintomi che impattano negativamente sulla sua vita, ha un basso rendimento scolastico e problemi di controllo emotivo e nelle relazioni sociali. Inoltre, è importante verificare se i sintomi di ADHD non siano invece dovuti ad altri fattori: problematiche educative, disagi emotivo-relazionali primari o disturbi specifici di apprendimento. Se sono presenti queste condizioni è ancora più importante effettuare una valutazione approfondita per distinguere se siamo di fronte ad un ADHD o meno. Una valutazione include: un colloquio approfondito con i genitori per comprendere la situazione attuale e la storia di sviluppo del bambino, far compilare a loro e agli insegnanti questionari specifici e verificare se i sintomi si manifestano in tutti i contesti di vita del bambino. È fondamentale che lo psicologo valuti il bambino attraverso colloqui o test specifici che consentano di verificare il suo profilo attentivo e la capacità di controllare le risposte impulsive.

Quali sono le sue cause?

L’ADHD non è da considerarsi una malattia, bensì un disturbo del neurosviluppo, una combinazione di caratteristiche, in parte innate e in parte apprese, che impattano negativamente sulla qualità di vita del bambino e delle persone che si relazionano con lui. Dopo anni di studi sulla genetica dell’ADHD, è stato calcolato che il 75% delle cause sono di natura genetica: un mix di geni che, mescolandosi tra di loro in modo ancora misterioso, creano una predisposizione biologica innata a sviluppare i sintomi. Il 25% delle cause non genetiche sono comunque di tipo biologico, anche se attualmente non sono del tutto definite. Oltre alle cause, è imperativo occuparsi di come ridurre la gravità e la persistenza dei sintomi, in quanto il bambino può manifestare disattenzione e iperattività in modo più o meno evidente e per un periodo più o meno prolungato; infatti, circa la metà dei bambini con ADHD ha un’evoluzione positiva e può migliorare significativamente la sua qualità di vita dall’adolescenza in poi.

Qual è, quindi, la terapia più efficace?

La modalità di intervento più efficace è di tipo multimodale, facile da dire, difficile da applicare. Nella pratica, per ottenere risultati positivi e stabili nel tempo, è necessario lavorare con il bambino, con i genitori e con gli insegnanti, seguendo un metodo e una direzione certi. Il bambino svolge attività ed esercizi, spesso divertenti, per migliorare l’attenzione e la memoria; i genitori lavorano per migliorare le proprie modalità relazionali e le loro strategie di gestione dei comportamenti problematici attraverso un ciclo di circa 6-8 colloqui; gli insegnanti applicano strategie per ridurre le difficoltà di attenzione e migliorare le relazioni sociali in classe. Queste terapie multimodali consentono di ottenere risultati positivi a condizione che sussistano alcuni ingredienti fondamentali:
> condivisione degli obiettivi da raggiungere;
> perseveranza nell’applicazione delle strategie concordate;
> capacità di tollerare la frustrazione per non ottenere risultati nel breve termine;
> disponibilità al cambiamento da parte dei genitori e convinzione che i risultati positivi arriveranno.
In poche parole, l’ADHD è un disturbo complesso e persistente, ancora sottovalutato nelle sue conseguenze, ma i cui effetti negativi si possono ridurre notevolmente al fine di consentire ai bambini e ai ragazzi di raggiungere una buona qualità di vita.

A cura di Sara Carrara
con la collaborazione del Prof. Gian Marco Marzocchi
Psicologo
Centro per l’Età Evolutiva, Bergamo