L’alpinista Lola Delnevo, classe 1980, ha perso l’uso delle gambe durante l’ascesa a una cascata di ghiaccio nel 2015. Ma non per questo ha smesso di fare sport ad alta quota.

Eleonora “Lola” Delnevo, classe 1980, è originaria di Arcene ma da qualche anno si è trasferita ad Albino. Laureata in Scienze ambientali, si è avvicinata alla montagna durante gli studi universitari, prima con semplici escursioni, poi al mondo dell’arrampicata e dell’alpinismo, scalando sulle Orobie e sulle Alpi diverse vie tra ghiaccio e roccia. Proprio questa sua passione l’ha tradita, il 19 marzo 2015, durante l’ascesa a una cascata di ghiaccio in val Daone: un blocco si è staccato, trascinando tutto il gruppo per un trentina di metri. La diagnosi per l’alpinista bergamasca è stata una sola, terribile: colonna vertebrale spezzata. Lola non si è mai fermata e ricoverata prima a Trento, poi a Mozzo, vicino a casa, ha iniziato una riabilitazione intensiva che in pochi mesi l’ha portata a rimettersi in pista, non solo con la montagna, ma con lo sport in generale. Una vita sempre a mille, prima e dopo l’incidente, la sua. E un esempio di tenacia.

La disabilità non l’ha frenata, quindi. Tutt’altro. Lola pratica sempre molto sport, tra cui kayak e pallacanestro in carrozzina, anche se la sua passione resta la montagna. Tra le imprese affrontate, l’ascesa a El Capitan, nello Yosemite in California, nel 2018. Una pazzia ben riuscita realizzata insieme agli amici Mauro “Gibe” Gibellini, Diego Pezzoli e Antonio Pozzi. Ci aveva già provato nel 2016, ma quella volta era andata male: «Dovevamo essere in quattro, ma rimanemmo in tre. Abbiamo voluto provare comunque, ma eravamo troppo lenti. E allora siamo scesi». Messa così, potrebbe sembrare che scalare El Capitan rappresentasse un po’ l’ossessione di Lola e i suoi amici, ma non è così. «In realtà il tentativo, poi andato a buon fine, del 2018 è nato per caso. Il Gibe si è sposato e con sua moglie è andato in viaggio di nozze negli Usa. È stata loro l’idea di dedicare l’ultima settimana del loro viaggio a El Capitan. Io e gli altri ci siamo imbucati, diciamo». Per affrontare l’impresa, la questione logistica non è stata ovviamente un aspetto secondario: «Prima di partire avevo chiesto a due ragazze disabili che avevano affrontato ascese simili; abbiamo adattato i loro metodi con il nostro. Ho usato alcuni accorgimenti: per esempio ho usato un imbrago da parapendio ultraleggero che mi ha permesso di sostenere il peso del corpo dal bacino in giù».

A inizio 2023 Lola ha attraversato la Patagonia del sud da El Chaltén a Ushuaia in handbike, per un totale di 1200 chilometri. «Un’avventura magnifica – svela -. Mi ha permesso di vedere un Paese che avevo sempre sognato di visitare. Attraversare i parchi del Fitz Roy, del Torres del Paine è stata un’emozione grandissima. Ho capito che un viaggio che può sembrare molto difficile per una persona disabile, in realtà è fattibile. Serve volontà, pianificazione e un po’ di fortuna».

La volontà è una delle qualità più spiccate in Lola. Non tanto per come ha affrontato l’incidente e la disabilità, quanto per come ha deciso di percorrere la vita: sempre in salita. Quasi per scelta, più che per necessità: «Salire è bello. Faticoso, ma anche appagante. Il problema, semmai, è la discesa…». E così, quando ha capito che l’arrampicata non faceva più per lei (o quasi, come abbiamo visto), si è messa in acqua. «Ci ho messo un anno ad abituarmi al kayak, ma ora me la cavo. Mi piace perché anche in questo sport sono all’aperto, in mezzo alla natura, immersa nel mondo “vero”. È molto diverso dall’alpinismo: in montagna sei tu che detti il tempo, il ritmo. Se ti vuoi fermare puoi farlo. Sul kayak invece devi assecondare la corrente, ascoltarla e capirla. È tutta un’altra cosa. Cambia proprio l’approccio mentale».

Insomma, le difficoltà a fare sport con una disabilità grave ci sono. Ma con un po’ di aiuto tante cose si possano fare. «Quello che posso dire è che la disabilità non mi impedisce di inseguire i miei sogni. Ho imparato a sforzarmi di fare anche le cose più difficili e realizzare, a piccoli passi, quello in cui credo».

A cura di Claudio Gualdi