Estate 2015, Brescia. Alessandro Pagani, cestista della Assigeco basket, ha un infarto in campo. Viene salvato da una spettatrice medico. «La prontezza di chi ha capito da subito la gravità della situazione, il massaggio cardiaco effettuato in modo corretto, la presenza “miracolosa” di un defibrillatore gli hanno di fatto salvato la vita» scrive la Assigeco Casalpusterlengo sul proprio sito. Vita e morte, due realtà in alcune circostanze separate da soli 10 minuti, un tempo quasi insignificante nella quotidianità, ma una discriminante a volte fondamentale. Proprio così. Non tutti infatti sanno che in caso di arresto cardiaco si hanno a disposizione un massimo di 10 minuti per intervenire sulla vittima prima che le sue possibilità di sopravvivenza si riducano a zero. Fondamentale quindi è la tempestività.

Oggi le statistiche mostrano che la maggior parte di coloro che vanno incontro ad arresto cardiaco si trova al di fuori di una struttura ospedaliera, il più delle volte circondate da persone che, non sapendo cosa fare, si limitano a chiamare i soccorsi. Il risultato? Il 94% muore prima di raggiungere l'ospedale. Se a questo aggiungiamo che attualmente si stimano, solo in Italia, 60.000 persone all'anno colpite da arresto cardiaco improvviso si capisce la gravità della situazione. Episodi drammatici, talvolta a carico di giovani atleti sotto costante controllo medico, come il calciatore Piermario Morosini e il pallavolista Vigor Bovolenta, hanno portato anche il governo italiano a varare un decreto (il decreto Balduzzi del Settembre 2013) che oggi permette a tutti di poter utilizzare il DAE (Defibrillatore Automatico Esterno) frequentando un semplice corso di abilitazione che dura meno di una giornata.«Il massaggio cardiaco esterno e la ventilazione (fino a pochi anni fa uniche azioni praticabili dal personale non sanitario) non sono sufficienti per far ripartire il cuore in arresto cardiaco sul quale deve essere necessariamente utilizzato il defibrillatore» spiega Francesca Conti, direttore generale di Fortimed Italia. «L'intervento tempestivo con un defibrillatore aumenta sensibilmente le probabilità di sopravvivenza della vittima e, più in dettaglio, gli studi clinici hanno evidenziato che: una defibrillazione effettuata entro 1 minuto dall'arresto cardiaco può aumentare il tasso di sopravvivenza fino al 90%; una defibrillazione effettuata entro 3 minuti dall'arresto cardiaco può aumentare il tasso di sopravvivenza fino al 75%». Il corso per diventare operatore BLSD (Basic Life Support and Defibrillation) della durata di 5 ore (1 ora teorica + 4 di pratica) permette di acquisire semplici informazioni per riconoscere l’arresto cardiaco, allertare correttamente i soccorsi, iniziare le manovre di rianimazione cardiopolmonare e utilizzare correttamente il DAE quando disponibile. Oggi per imparare a salvare una vita bastano solo 5 ore di formazione. E non è necessario essere un sanitario.

LE ORIGINI
La storia della defibrillazione affonda le proprie radici nei primi anni del XX secolo, quando alcuni scienziati si dedicarono allo studio degli effetti dell’elettricità sul cuore, spinti dalle aziende di energia elettrica che avevano subito la perdita di propri operai uccisi da scariche elettriche che causavano la fibrillazione ventricolare. Esperimenti svolti sui cani dimostrarono che la fibrillazione ventricolare poteva essere bloccata erogando una corrente alternata che causava uno shock elettrico contrario. Negli anni successivi gli studi continuarono senza sosta, fino a quando, nel 1967, i due cardiologi irlandesi Frank Pantridge e John Geddes realizzarono il primo defibrillatore portatile che utilizzava due batterie da 12 Volt. In seguito il veloce sviluppo delle tecnologie elettroniche e dei computer ha portato alla realizzazione dei moderni DAE (Defibrillatore Automatico Esterno) dotati di software capaci di individuare automaticamente la fibrillazione ventricolare e “decidere” di erogare o meno la scarica elettrica a seconda dei casi.

a cura di FRANCESCA DOGI

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