La storia di Sagi Rei che arrivato da Israele ha abbandonato il sogno di diventare medico come il nonno e lo zio “bergamasco” per incidere dischi e fare concerti.
«Sono venuto a Bergamo per studiare. Avevo sedici anni. Ho fatto ragioneria, poi mi sono iscritto alla Facoltà di medicina a Brescia. Sognavo di diventare medico come mio nonno e mio zio che vive e lavora qui come cardiologo e che all’inizio mi ha ospitato a casa sua. Volevo dedicarmi all’immunologia. Mi affascinava, mi vedevo in laboratorio a fare ricerche, a trovare soluzioni per salvare vite umane. Invece dopo quattro-cinque anni di studi intensi ho abbandonato.

 

Ho scelto, non senza rimpianti, di fare il cantante. Ho imparato a suonare la chitarra e ho cominciato a fare serate con il mio amico Claudio che adesso fa l’avvocato, e non ho più smesso». Sagi Rei (il cui vero cognome è Reitan) è nato a Tel Aviv, in Israele, ha 43 anni, una compagna, Francesca, bergamasca doc, e un figlio di due anni Adam. Vive a Paladina perché “amo il verde e l’aria buona”. Lo incontriamo mentre è in partenza per Favignana, nell’Isole Egadi, impegnato in un concerto in piazza con un’orchestra locale. «Ho tanti fans al Sud, in Sicilia, in Puglia, in Campania. Ogni volta che tengo un concerto lì è un successo». Il primo successo che l’ha imposto alla critica musicale e agli appassionati è del 2005 con l’album “Emotional Songs” pubblicato in più di 15 nazioni tra cui Stati Uniti, Canada, Germania e Spagna, e tra i 100 album più venduti in Italia, grazie anche alla notorietà del singolo “L’amour toujours” o “I’ll fly with you” scelto, qualche anno dopo, come accompagnamento musicale dello spot pubblicitario per il marchio “Intimissimi” ed entrato nella classifica dei singoli più scaricati in Italia.

Sagi non si è montato la testa e ha continuato nelle sue ricerche musicali che risentono della musica black, ispirandosi a cantanti come Marvin Gaye, Stevie Wonder e Michael Jackson, a cui ha addirittura dedicato nel 2010 il disco “Sagi sings Michael Jackson”. «Non è stato tutto rose e fiori» ci rivela. «Ho fatto tanti sacrifici. Già quando sono arrivato a Bergamo. È stato difficile ambientarsi. Non conoscevo la lingua e nei miei confronti c’era una certa diffidenza. Il mio è stato un inserimento non facile soprattutto sul piano sociale. L’Italia era un Paese completamente diverso dal mio. Ma sono maturato in brevissimo tempo, ho imparato la lingua e, grazie anche a mio zio, ho fatto tante conoscenze. Dopo qualche mese che ero a casa del mio parente sono però andato a vivere al Patronato San Vincenzo, un contesto sociale interessante, favorevole per lo studio, ma io mi sentivo attratto dalla musica. E un po’ alla volta ho preso la decisione di dedicarmi soltanto alla musica, alle canzoni. All’inizio, quando ho abbandonato l’università, ho provocato una certa delusione nei miei genitori e in mio zio che mi volevano laureato in medicina. Ma non potevo continuare così. La musica mi faceva sentire libero, l’università mi stressava. E una sera, dopo un concerto ho conosciuto Francesca che era tra il pubblico e mi ha chiesto l’autografo. È nato così il nostro amore e ora abbiamo un bambino. Adam è uno spettacolo: sorride sempre, non piange mai, e spero che in futuro ami la pace come me. Io vengo da un Paese che è segnato dall’odio con i palestinesi. Purtroppo in molte zone sia in Palestina sia in Israele insegnano a odiare gli altri fin da piccoli. Ci sono stati tanti tentativi di trovare una convivenza pacifica ma all’ultimo momento è saltato tutto ed è ricominciata la guerra e i morti».

E un messaggio di pace e di speranza c’è nell’album che sta preparando e che dovrebbe uscire a febbraio. «Non accenno a Israele e Palestina» spiega. «Ma vuole essere un invito a tutto il mondo a toglierci le armature, a confrontarci con gli altri perché i nostri figli possano crescere senza avere paura delle guerre e dell’odio». A Tel Aviv torna almeno una volta l’anno, possibilmente a Pasqua. E cerca di ritrovare tutti i sapori della sua adolescenza. «Mangio di tutto, potrei addirittura ingrassare un chilo al giorno» dice sorridendo. «Sono goloso delle nostre salse a base di ceci e altro. Ne mangerei fino a sfinirmi. Ma a Pasqua vado anche in Sinagoga a seguire le funzioni della festa. Sono di religione ebraica ma mi sento soprattutto laico».

Il suo mondo è però la musica, la chitarra. Ha una voce stupenda. Se non lo avete mai sentito andate sul suo sito e scoprirete le sue molteplici suggestioni musicali. A scoprirlo è stata sua madre Nili, musicista. A Milano ha anche cantato in un coro gospel, ma deve a un produttore la sua scalata nel mondo della musica, Cristian Piccinelli che lo sente cantare in acustica in un locale e insieme con produttori come Mario Fargetta e i discografi Mauro Marcolin e Diego Abaribi danno vita a un progetto. E nasce la rilettura in chiave acustica di alcuni dei più noti successi dance degli Anni Novanta. La raccolta intitolata “Emotional Songs” viene replicata due anni dopo con “Emotional Songs parte 2” ampliata con sonorità più varie che includono il pianoforte. «Eravamo tornati da un concerto e quasi per sfida proviamo alle due di notte a fare in acustica con la chitarra vari brani. Li abbiamo incisi e la traccia, come si dice in gergo, è piaciuta tantissimo. Allora abbiamo registrato dodici brani. Un progetto che è durato tre mesi, quasi un gioco, vissuto con tanta gioia. Ora sto preparando il mio album, con le canzoni che ho scritto ispirandomi alla pace e alla speranza di un mondo migliore ma anche e soprattutto all’amore in tutte le sue forme».

Intanto pensa ancora alla facoltà di medicina che ha lasciato senza laurearsi. «A volte ho avuto la tentazione di riscrivermi e di laurearmi, ma poi mi sono detto che la musica mi fa sentire libero lontano da ogni odio, come quando la mattina faccio footing a Paladina o quando vado al cinema, i miei due hobby preferiti».

a cura di LUCIO BUONANNO