Promette di rimetterci in contatto con le nostre emozioni più vere e profonde. Chi lo pratica dice sentirsi più rilassato, rigenerato nel corpo e nella mente. Si chiama Rebirthing ed è l’arte del respiro consapevole. Tecnica largamente diffusa a livello mondiale, sviluppatasi in California agli inizi degli anni Settanta, affonda le sue origini nello yoga, in discipline mistiche sufi e tibetane e in tutta la tradizione sciamanica. In queste culture il respiro è sempre stato conosciuto, studiato e applicato come sistema di autoguarigione e crescita spirituale. Ne parliamo con Maurizio Taddei massofisioterapista e operatore olistico.
In pratica, in cosa consiste?
La tecnica consiste nel respirare profondamente, consapevolmente e in maniera circolare. Respirare in maniera circolare o connessa vuol dire non mettere pause tra le due fasi respiratorie: inspirazione ed espirazione. Nel respiro ordinario facciamo una breve pausa dopo ogni inspirazione e una dopo ogni espirazione. Durante una seduta di Rebirthing si collegano invece inspirazione ed espirazione e viceversa. Questo modo di respirare porta in breve tempo a sentirsi un po’ strani, ci si apre a una nuova dimensione e poco a poco si avverte un contatto più profondo e più vitale con le proprie emozioni e col proprio mondo interiore. L’americano Leonard Orr, il suo fondatore, ha chiamato questa tecnica col nome di Rebirthing (Rinascita) perché le persone, dopo una seduta spesso si sentono come rinate e anche perché, con la respirazione circolare, possono emergere ricordi o sensazioni legati alla nascita. Ogni esperienza della nostra vita rimane infatti immagazzinata nel nostro inconscio e il respiro connesso e consapevole del Rebirthing può aprire la porta di questo magazzino. Qui tutto è registrato fin dalla nascita e anche prima, quando eravamo in simbiosi con la mamma all’interno del suo ventre, percependone ogni umore ed emozione. Il respiro consapevole, quindi, ci apre la strada che entra dentro di noi dove tutto è un po’ nascosto, ma perfettamente registrato nell’inconscio: sensazioni, emozioni, ricordi, paure e desideri.
Come è possibile ottenere tutto questo “semplicemente” imparando a respirare in modo consapevole? E cosa succede invece se non lo si fa?
Per rispondere bisogna partire da un’altra domanda: “Riflettiamo mai sull’importanza del nostro respiro?” L’aria e l’ossigeno arrivano dall’esterno, entrano nel nostro corpo e poi ritornano fuori. Per gli orientali non è solo aria che respiriamo, ma prana energia vitale. Il respiro è il ponte che ci collega con l’universo. Il respiro ci tiene, inoltre, legati alla vita. Se ci pensiamo la prima cosa che facciamo alla nostra nascita è inspirare e l’ultima prima di morire sarà un’esalazione. Tra la prima inspirazione e l’ultima espirazione, il respiro ci accompagna sempre. Va per conto suo ed è un bene che sia così e non dobbiamo ricordarci di respirare; ma quando mai abbiamo portato un po’ di attenzione e consapevolezza al nostro respiro? Fisiologicamente funziona che quando inspiriamo il nostro corpo si espande e quando espiriamo si rilassa. Ci gonfiamo inspirando e sgonfiamo espirando. Abbiamo due tipi di respirazione: polmonare e diaframmatica. Nella respirazione polmonare è il torace che si espande in inspirazione e si rilassa in espirazione, mentre in quella diaframmatica è l’addome. Sono due modi differenti di respirare e non è uno giusto e uno sbagliato. A seconda del tipo di situazione in cui ci troviamo, un modo sarà più indicato dell’altro. Se stiamo correndo sarà la respirazione toracica a fornirci l’ossigeno che ci serve; se siamo invece seduti a leggere o scrivere sarà la respirazione addominale più idonea per stare tranquilli e concentrati. E questo dovrebbe avvenire in maniera spontanea e naturale. Il respiro è però stato condizionato dalla storia personale di ognuno di noi e molte persone hanno perso la connessione e la capacità di respirare nel torace o nell’addome. Questo non è corretto né dal punto di vista fisico, né dal punto di vista emozionale. Il respiro col suo movimento offre un massaggio naturale ai nostri organi interni. Se non apre ed espande il nostro torace, cuore e polmoni possono risentirne: problemi asmatici, cardiaci e “chiusura di cuore”. Se invece è l’addome a non muoversi e a non essere massaggiato dalla respirazione, ci saranno probabilmente problemi digestivi, epatici, poca ricettività e sensibilità emotiva.
Come si svolge una seduta?
Le sedute di Rebirthing possono essere individuali o di gruppo. Le persone che respirano si adagiano comodamente in posizione supina su un lettino o su un materassino per terra e verranno assistite durante tutto il processo dall’operatore rebirther. Ogni sessione ha la durata di almeno un’ora, durante la quale si respira in maniera consapevole e circolare. Questo modo di respirare all’inizio sarà intenso e vitale, per concludersi poi in una dimensione di rilassamento profondo. Alla fine di una sessione di Rebirthing ci si sente ripuliti, rigenerati e con una sensazione di pace nel corpo, nella mente e nello spirito.
UN VIAGGIO INTERIORE AL CENTRO DELLE EMOZIONI
Il respiro è purificante e rigenerante per il corpo. Fa bene alla salute, migliora la prestanza fisica, nutre e ripulisce le cellule. È l’aspetto emozionale però ad essere centrale nel Rebirthing, poiché il respiro è intimamente collegato con umori ed emozioni. Quando siamo contenti respiriamo in maniera diversa rispetto a quando siamo preoccupati. Questo è particolarmente evidente nei bambini. Se piangono, se sono arrabbiati, se ridono e sono felici lo esprimono totalmente col viso e col corpo e il respiro sembra essere il motore di tali espressioni. Durante la crescita però, il bambino impara a gestire e controllare molti dei propri stati emotivi, contenendo e modificando inconsciamente il proprio respiro. Si chiude nell’espirazione per difendersi dalla paura, o si contrae nell’inspirazione per non lasciare uscire la rabbia, o riduce il respiro in toto per non sentire il dolore. In questo modo però finisce per bloccare anche le emozioni positive: per esempio la fiducia è un istinto complementare alla paura. L’amore è complementare alla rabbia. E il piacere è l’altra faccia del dolore. Imparare a “guardare” le emozioni negative e lasciarle andare ci permetterà di entrare più facilmente in contatto anche con i loro complementari positivi.
a cura di GIULIA SAMMARCO
con la collaborazione di MAURIZIO TADDEI
Massofisioterapista e operatore olistico
- PRESSO ANANDA BERGAMO -