La commovente storia di Giorgio, finito in coma vegetativo dopo un incidente stradale, e di una mamma coraggiosa che non ha mai perso le speranze. E' la notte del 15 maggio 2010. In casa Grena a Foresto Sparso i genitori attendono il figlio Giorgio, 22 anni, uscito con amici. È passata mezzanotte e il ragazzo non risponde al cellulare. Le ore passano e mamma Rosa è sempre più preoccupata. Giorgio è un ragazzo tranquillo che si impegna in parrocchia e al Cre, sta terminando la formazione per diventare agente assicurativo, non è tipo da ritardare senza ragione. Deve essere successo qualcosa di grave.

All’alba la preoccupazione diventa un presentimento pesante; il papà decide di aspettare ancora qualche ora e poi chiamerà i Carabinieri. Alle otto però lo precede la telefonata della polizia. «Giorgio ha avuto un incidente in auto». Rosa Vigani si precipita a Bergamo con il figlio e il papà. Al pronto soccorso trova Giorgio fasciato e intubato. Il chirurgo non nasconde che la situazione è molto grave. è rimasto vittima di un incidente stradale. Alle tre di notte l’auto su cui viaggiava in autostrada come passeggero ha urtato un’utilitaria ed è andata a sbattere contro un camion fermo in una piazzola. L'amico di Giorgio alla guida è illeso, ma il bilancio è pesante: il conducente dell’utilitaria è morto e il ragazzo ha subito un gravissimo trauma cranico e viene ricoverato in rianimazione. Durante il ricovero la pressione intracranica non scende e Giorgio deve essere sottoposto a un intervento delicatissimo.

Mamma Rosa sente che non è finita, è sostenuta da una fede profonda, prega incessantemente per il figlio. Sa che potrebbe anche non riprendersi, ma chiede ai medici che cosa farebbero se il paziente fosse loro figlio. «Se avesse 40 o 50 anni non lo faremmo operare, ma alla sua età sì» rispondono. Giorgio è giovane e forte. Dopo l’intervento passa alla terapia sub intensiva. È in stato di coma e ha la febbre alta, probabilmente per un’infezione alla sonda della PEG (Gastrostomia Endoscopica Percutanea, tecnica che consente la nutrizione attraverso un tubicino inserito nell’addome). Al momento di lasciare i Riuniti mamma Rosa si rivolge alla clinica Maugeri di Pavia, struttura specializzata per accogliere pazienti in stato di minima coscienza, dove il dottor Maggioni esamina il caso e accetta il trasferimento del figlio.

Alla Maugeri Giorgio rimane da giugno 2010 a settembre 2011. Qui viene sottoposto ad altri interventi. Gli allungano i tendini che l’impossibilità di movimento ha accorciato. La mamma è sempre al suo fianco, operazione dopo operazione. Non perde la speranza che qualcosa possa cambiare, nonostante i medici stessi non le diano illusioni. «L’équipe riabilitativa pensa che il paziente rimarrà in stato vegetativo, o forse di minima responsività, ma la mamma ha elevate aspettative. Da lì inizia il nostro divario, l’incontro-scontro con Rosa, una mamma con un’esagerata progettualità e l’équipe che tenta di riportarla alla realtà…» si legge in una memoria delle infermiere di Pavia che ci mostra. Quando deve lasciare Pavia e scegliere se portarlo in un istituto o a casa, Rosa non esita a tornare a Foresto, tra il calore della sua famiglia. «Ma la casa non aveva l’ascensore per cui abbiamo cercato un’altra abitazione adattandola alle esigenze di Giorgio. Durante i lavori siamo stati ricoverati tre mesi alla Clinica Quarenghi. Tornati a casa tra mille paure abbiamo trasformato la casa di Giorgio come se fosse una piccola clinica, con infermieri, fisioterapisti e logopedisti» ricorda Rosa.

La riabilitazione alterna periodi a casa e all’Istituto clinico Quarenghi di San Pellegrino. La famiglia non lascia nulla di intentato ma l’impegno economico è elevato: il massimale dell’assicurazione dell’auto che ha causato l’incidente era basso ed è stato diviso tra le due vittime del sinistro; il tempo passa e le spese sono tante. Un piccolo aiuto viene dalla Regione Lombardia che, insieme a poche altre in Italia, assegna un sussidio di mille euro al mese alle famiglie che decidono di tenere i propri cari in stato vegetativo a casa, sollevando il servizio sanitario da un’onerosa assistenza nelle strutture. Certo non è facile, né da un punto di vista economico, né pratico né emotivo. Ma mamma Rosa non molla. È disposta ad affrontare tutti i sacrifici che si rendano necessari. È per il suo Giorgio.

Il 31 maggio 2015 la sua incrollabile determinazione viene ripagata. Accade il miracolo, come lo definisce mamma Rosa: Giorgio ritorna a parlare. Gli chiedono come sta e risponde: «bene» Poi vengono altre parole, sa come si chiama, quando è nato, il suo segno zodiacale… Il dottor Maggioni e il dottor Salvi, il neurologo che lo segue a San Pellegrino, ricevono la notizia al telefono. All’inizio sono scettici, pensano si tratti di suggestione da parte dei famigliari ed è comprensibile, si sono registrati solo sedici casi di questo tipo in tutto il mondo. Invece è tutto vero. Da questo momento la riabilitazione cambia piega perché Giorgio reagisce. Quando lo incontriamo a San Pellegrino insieme ai genitori e al dottor Salvi sta per iniziare il pranzo, nonostante venga alimentato in parte con la PEG. Le sue corde vocali sono deboli e la deglutizione è difficoltosa per la lunga inattività e gli intubamenti, ma le sue capacità cognitive oggi sono buone, vede la televisione, ascolta la musica, sceglie i canali che preferisce, anche se è faticoso esprimersi. Quando si parla della sua nipotina di tre anni, Ginevra, il suo sguardo si illumina, la bambina adora lo zio e cerca sempre di stargli vicino. Che cosa ricorda Giorgio del periodo trascorso in stato vegetativo? «Nel momento del trauma la memoria smette di registrare, ma se l’attività cognitiva riprende, i ricordi precedenti sono intatti» spiega il dottor Salvi. «Nel caso di Giorgio ha ripreso a funzionare anche la memoria anterograda, cioè quella del presente, che ci fa ricordare i fatti della giornata. La “rinascita” di Giorgio è stata in gran parte dovuta alla tenacia della sua famiglia, che non si è mai arresa. Come i Grena ho visto altre famiglie fare di tutto per praticare la riabilitazione a casa; in alcuni casi hanno poi formato dei gruppi di assistenza o sono diventate delle vere e proprie strutture. I loro sforzi non sono abbastanza riconosciuti, dovrebbero ricevere un maggior sostegno dalle istituzioni» ribadisce il medico.

«Giorgio racconta alle persone perché fai tutto questo» dice la mamma quando stiamo per salutarci. «Per aiutare quelle persone che sono nelle mie condizioni. Ringrazio tutti i miei angeli per quello che hanno fatto e stanno facendo per me».

a cura di LELLA FONSECA