Se si chiedesse di descrivere una persona colpita da infarto miocardico, in molti la rappresenterebbero così: uomo, di età avanzata, con il dolore al torace. Negli anni passati si è sempre ritenuto che le malattie cardiache fossero quasi un’esclusiva degli uomini con un coinvolgimento marginale delle donne che in realtà hanno sempre temuto e concentrato le loro attenzioni e paure verso altre patologie come tumore della mammella e dell’utero. Invece la realtà dei fatti è che:
> le malattie di cuore, e tra queste in particolare l’infarto miocardico, sono le malattie più frequenti nelle donne;
> le donne muoiono molto di più a causa delle malattie cardiovascolari che per tutti i tumori messi insieme compreso il tumore al seno;
> il primo episodio di infarto miocardico è molto più pericoloso in una donna che in un uomo e le complicanze dell’infarto sono più gravi nelle donne;
> nelle donne l’infarto presenta una mortalità superiore a quella riscontrata negli uomini, addirittura doppia nelle donne giovani.

Le cause: cosa dicono gli studi
Per molti anni lo studio della malattia coronarica e dei suoi fattori di rischio ha interessato prevalentemente gli uomini considerata la maggiore frequenza della malattia in età media. Recentemente, però, alcuni studi di genere hanno cercato di fare chiarezza sulle differenze e le similitudini nell’infarto miocardico tra uomini e donne. Uno tra questi, lo studio Octavia (studio tutto italiano il cui investigatore principale è il dottor Giulio Guagliumi, cardiologo interventista dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo), ha dimostrato che i meccanismi di insorgenza dell’infarto miocardico (vedi box) in uomini e donne sono simili, le donne hanno la stessa risposta degli uomini all’impianto di stent medicati di ultima generazione e anche il decorso clinico, quando i trattamenti salvavita sono applicati nello stesso modo, è sovrapponibile nei due generi e molto favorevole. E allora perché le differenze in mortalità e complicanze nell’infarto tra uomini e donne?

I fattori di rischio cardiovascolare tradizionali…
I fattori di rischio tradizionali (fumo, colesterolo alto, ipertensione, diabete etc.) incidono diversamente sulla malattia cardiovascolare nell’uomo e nella donna.
> Il fumo, considerato il fattore di rischio maggiormente responsabile di mortalità e morbilità in entrambi i sessi, sembra essere più pericoloso nelle donne (specie se assumono contraccettivi orali). E purtroppo mentre il numero di fumatori maschi in Italia è calato negli ultimi anni le donne ormai fumano quanto gli uomini e il dato più allarmante è che le ragazze iniziano a fumare a una età sempre inferiore (età media 17 anni).
> L’ipertensione arteriosa presenta un rischio particolarmente elevato in quanto indicatore di disfunzione endoteliale (ndr. l’endotelio è il tessuto che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni, dei vasi linfatici e del cuore) molto più presente nelle donne.
> La dislipidemia (colesterolo e trigliceridi alti) è riconosciuta come fattore predittivo in entrambi i sessi, ma dopo la menopausa si assiste a un incremento del colesterolo, del colesterolo-LDL e dei trigliceridi, con tendenza alla riduzione del colesterolo-HDL. Questi rimaneggiamenti del profilo lipidico post-menopausali sono correlati con un rischio maggiore sia in donne apparentemente sane sia in donne già colpite da un evento cardiovascolare.
> Il diabete mellito nella donna aumenta il rischio di morte per infarto miocardico.

… e quelli genere-specifici
Alcuni fattori di rischio sono esclusivamente correlati al genere (uomo-donna) e quindi presenti solo nelle donne: diabete mellito gestazionale, ovaio policistico, preeclampsia e eclampsia e menopausa. Gli estrogeni durante tutto il periodo fertile limitano l’evoluzione dell’aterosclerosi attraverso il controllo del profilo lipidico: tutto questo si modifica con l’arrivo della menopausa. Anche alcune malattie più frequenti nelle donne (malattie autoimmuni, patologia tiroidea, malattie reumatologiche, malattie scheletriche come l’osteoporosi e malattie neuro degenerative) sono associate a un incrementato rischio di mortalità e malattia cardiovascolare. Questo dipende, verosimilmente, dallo stato infiammatorio sottostante, dalla non rara trombofilia concomitante, dalla scarsa attenzione per patologie diverse dalla principale e infine dal frequente uso di farmaci che possono favorire l’insorgenza di eventi cardiovascolari. Tra tutte, in particolare, il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide comportano un elevato rischio di sviluppare coronaropatia. Anche lo stress lavorativo e familiare, la depressione e il basso livello economico incidono maggiormente sul rischio di morte per patologia cardiovascolare sino al 50% in più nelle donne.

Come riconoscere i sintomi
Classificazione ed esami di laboratorio sono sovrapponibili in entrambi i sessi. Ciò che differisce sono invece i sintomi, spesso aspecifici, sottovalutati, principalmente dalla paziente, e correlati a fattori emotivi. La donna può non lamentare il dolore toracico tipico, ma sintomi come astenia, nausea e vomito, sensazione di ansia inspiegabile e insonnia, talora inappetenza. Spesso attribuisce, quando è più giovane, il dolore toracico all’emotività alterata dalla presenza della menopausa. In diversi studi è evidenziata la minore attenzione da parte delle donne al possibile rischio cardiovascolare; in realtà anche il personale medico sminuisce inconsapevolmente le problematiche delle pazienti che spesso riferiscono di essere considerate ipocondriache, stressate, eccessivamente ansiose. Questo può scaturire dal fatto che, fino a poco tempo fa, l’iter diagnostico si basava sui risultati ottenuti sul genere maschile e ciò nel tempo ha evidenziato i limiti delle metodiche se applicate al genere femminile.

L’importanza (trascurata) del fattore tempo
Le donne, dalle statistiche, dimostrano una tendenza ad arrivare più tardi in ospedale rispetto agli uomini aumentando il profilo di rischio. Il fattore tempo nella cura dell’infarto miocardico acuto è infatti cruciale per la sopravvivenza anche e forse di più per la donna. Inoltre le terapie più efficaci come la trombolisi e la rivascolarizzazione percutanea non sono altrettanto efficaci o addirittura non sono più praticate se è passato troppo tempo. Il perché di questo ritardo va ricercato, ancora una volta, nella sottovalutazione del rischio di infarto cardiaco da parte delle donne.

La terapia: utilizzata meno che negli uomini
Il ritardo nell’arrivare in ospedale unito alla presenza di sintomi aspecifici nelle donne e all’anatomia coronarica femminile determina, secondo numerosi studi, un sottoutilizzo delle terapie in caso di infarto acuto di oltre il 30% in meno. Tutto questo a sua volta comporta che i risultati a distanza siano peggiori nelle donne, anche per un più elevato profilo di rischio. In definitiva, il meccanismo di protezione degli estrogeni ha creato nel tempo la convinzione che la donna potesse ammalarsi meno di patologia cardiovascolare e ciò ha indotto all’utilizzo della terapia ormonale sostitutiva; peraltro la cosiddetta “medicina bikini” (ovvero una medicina che ha sempre riconosciuto come uniche differenze tra uomo e donna quelle a carico degli organi sessuali), ha confermato l’uso di tale terapia, causando effetti dannosi e aumentando il rischio cardiovascolare. Attualmente la terapia sostitutiva va consigliata nelle donne di non oltre 60 anni e in menopausa per un periodo inferiore ai cinque anni.

Le regole della prevenzione
Ci sono almeno due buone ragioni per imboccare la strada della prevenzione. Innanzitutto le diverse cure mediche, anche le più sofisticate, se intraprese dopo che la malattia si è già manifestata non sono più in grado di ristabilire completamente la salute. In secondo luogo è stato dimostrato che attraverso la prevenzione si può diminuire in modo consistente la frequenza della cardiopatia ischemica (angina pectoris e infarto) con le sue temibili conseguenze.
> Avere consapevolezza del rischio. Come accennato, il maggior rischio cardiovascolare della donna (definito anche il paradosso femminile) è la mancata consapevolezza di essere a rischio come o più dell’uomo. Il primo passo è quindi la presa di consapevolezza da parte della donna che l’infarto rappresenta la prima causa di morte più di ogni altro tumore.
> Seguire un’alimentazione bilanciata, ricca di frutta e vegetali, cereali integrali, fibre; consumare pesce almeno due volte alla settimana; limitare l’apporto di grassi saturi, il consumo di alcol e l’apporto di sodio.
> Abolire il fumo. Qualunque tipo di fumo: di sigaretta, sigaro o pipa, deve essere considerato come la sostanza che attualmente reca più danno alla salute. Per questo motivo nessun altro intervento, nell’intero campo della medicina preventiva, risulterà più utile della sua abolizione.
> Fare attività fisica regolare, soprattutto le donne che presentano fattori di rischio. Le linee guida raccomandano esercizio fisico aerobico per almeno 45 minuti per almeno tre volte alla settimana.
> Tenere sotto controllo il peso. L’eccesso di grasso è il più importante determinante del diabete nella donna.
> Eseguire un accurato screening del diabete nelle donne obese, con familiarità per diabete, con sindrome dell’ovaio policistico o in presenza di altri fattori di rischio cardiovascolari, dislipidemia ed ipertensione arteriosa; in tutte le donne oltre i 45 anni di età e comunque dopo l’ingresso in menopausa. Una diagnosi accurata e tempestiva della cardiopatia ischemica è un passo fondamentale nella cura delle donne e rappresenta la sfida principale per i medici.

"Essendo protette dagli ormoni fin oltre i cinquant’anni di età, le donne sono abituate a ritenersi erroneamente immuni dal rischio di malattie cardiache”

Quando una parte del muscolo cardiaco “muore” 
L’infarto miocardico consiste nella morte delle cellule (necrosi) di una parte del muscolo cardiaco, causata da un’assenza di flusso di sangue (in genere superiore a 30 minuti), dovuta a sua volta, all’improvvisa occlusione dell’arteria coronaria che normalmente alimenta la zona. L’occlusione di un’arteria coronaria, nella grande maggioranza dei casi, è causata dalla formazione di un trombo (ossia di un coagulo di sangue) all’interno dell’arteria coronaria. A sua volta la formazione del trombo è innescata da una rottura o ulcerazione di una placca aterosclerotica che è una protuberanza all’interno di un vaso sanguigno (in questo caso coronarico) dovuta a un accumulo di grassi e cellule infiammatorie.

"Aspetto preoccupante è il crescente numero di segnalazioni, nella letteratura scientifica, riguardanti la generale sottostima per la diagnosi di cardiopatia ischemica nella donna, la diagnosi in stadio troppo avanzato di malattia e il trattamento meno aggressivo rispetto a quello riservato al paziente maschio”

ECG ed ecografia per una diagnosi più mirata
È noto come da sempre nel sesso femminile i test diagnostici non invasivi abbiano un’accuratezza inferiore rispetto al sesso maschile. Il semplice elettrocardiogramma (ECG) registrato durante un’ischemia miocardica mostra delle importanti differenze che rendono più difficoltosa la diagnosi. Anche il test da sforzo al cicloergometro o al tappeto rotante è limitato da una scarsa accuratezza nel sesso femminile e addirittura ci possono essere delle differenti risposte dell’ECG sotto sforzo nelle stesse pazienti in relazione alle diverse fasi del ciclo mestruale. Ciononostante il test da sforzo rimane il miglior esame cui sottoporre le pazienti ad elevato rischio. Recenti lavori indicano che l’aggiunta a un test da sforzo di una metodica di imaging (eco da sforzo o eco stress farmacologico e scintigrafia miocardica) migliori enormemente la sensibilità e la specificità del test stesso.

A cura del dott. Felice Valle
Specialista in Cardiologia
Istituto Clinico Quarenghi
San Pellegrino Terme