L’incredibile storia di una donna malata di cancro al seno.
La sua casa famiglia, a Osio Sotto, dove accoglie ragazzi in affido è sempre aperta. Finora ne ha accolti una quarantina che le hanno dato più affetto di quello che lei è riuscita, anche tra mille ostacoli, a concedere loro. E l’hanno aiutata con il loro amore a superare un brutto cancro al seno che stava per portarla via.

«Devo ai miei bambini e a mio marito se sono riuscita a superare le tante operazioni, la chemioterapia, i mesi in ospedale, la riabilitazione, il cancro. Mi hanno dato la forza di combattere giorno dopo giorno negli ultimi sette anni» racconta Giuseppina Carmela Socci, molisana trasferitasi anni fa prima a Crema come caposala dell’ospedale e poi nella Bergamasca come “mamma” affidataria per i ragazzi in difficoltà.

Il calvario di Giuseppina inizia nel 2012 con un dolore al braccio. Il suo medico le fa fare un’ecografia, le viene diagnosticata una mastite (Ndr. processo infiammatorio che interessa la ghiandola mammaria), si cura, ma le terapie non funzionano, il male non passa. «Decido allora di fare un altro esame, una mammografia. La senologa, la dottoressa Caterina Valerii del Papa Giovanni mi dice che c’è una massa di cinque centimetri, forse una cisti. Per sicurezza esegue anche l’ago aspirato. Torno a casa tranquilla. Per me l’esito è negativo, almeno così spero. Invece qualche giorno dopo la dottoressa mi chiama e mi comunica la notizia con molta delicatezza e umanità e mi spiega cosa avremmo dovuto fare. Capisco poco di quello che mi dice. Sto malissimo. Penso soltanto che non ci riuscirò, che la mia vita è finita. Torno a casa, piango per tre giorni, svuoto gli armadi, regalo tanti vestiti, penso addirittura al mio funerale. Voglio lasciare tutto in ordine».

Dopo un primo momento di sbandamento, però, Giuseppina sente che non può mollare ma deve affrontare la malattia per sé e per la sua famiglia allargata. «Non so come ma trovo la forza di reagire. Mi guardo allo specchio. Sto ancora male, ma sono una donna di fede e la fede ti aiuta. Capisco che non devo lasciarmi andare. “Basta” quasi grido “devo affrontare la malattia a viso aperto, anzi devo combatterla”. Ci sono i ragazzi da seguire, mio marito. Ho cominciato vent’anni fa con l’Associazione Fraternità che si occupa di affido nel Cremasco e gestisco con loro questa casa famiglia a Osio. E allora devo reagire. Mi rimetto alle cure dei medici. Mi affido a ottobre del 2012 al dottor Fenaroli, primario di senologia, e al dottor Tondini, primario di oncologia. L’intervento, all’ospedale di Bergamo, dura dieci ore. Poi la riabilitazione, altri mesi, a Mozzo. Un’esperienza durissima che però mi aiuta a riprendere la mia vita. E finalmente nella primavera dell’anno dopo ricomincio a vedere la luce, i miei ragazzi in affido per i quali negli anni Novanta ho lasciato il lavoro. Per me che non ho avuto figli, è una missione. La prima bambina che ho accolto ha ora trent’anni ed è stata con me per quindici».

«Sì, la mia è davvero una missione» continua Giuseppina. «Sento che non può finire mai, nemmeno a causa di una malattia come il cancro. I ragazzi sono la nostra vita. Prima di giudicare le loro situazioni bisogna capirli, stare loro vicini. Noi accogliamo sempre anche le famiglie dei ragazzi che spesso meritano una seconda possibilità. È dura per loro ammettere di essere in difficoltà. Bisogna imparare a rispondere ai bisogni dei ragazzi che spesso hanno vissuto esperienze e traumi sapendo però che questi figli non saranno mai tuoi, fai loro da mamma, ma poi devi lasciali andare. L’affido, di cui si parla poco, è una risorsa importante che dà aiuto a minori in grave difficoltà ma ha sempre come obiettivo il rientro alle proprie famiglie. Non ci muoviamo mai da soli, siamo sempre seguiti dai giudici e assistenti sociali. A volte ho dovuto accompagnare qualche ragazzo in comunità terapeutiche o ho dovuto medicare le ferite di chi aveva subito abusi. Noi cerchiamo con l’affido di offrire il calore di una casa ma non sempre c’è il lieto fine. Proviamo a indirizzarli, far capire che da un certo punto in poi dipende solo da loro. La scuola può essere il loro riscatto. Purtroppo, però, non tutti ce la fanno».

E qualche ragazzo in affido davvero non ce la fa. «Tra i nostri figli affidatari c’è stato anche chi se n’è andato sbattendo la porta ma poi è tornato dicendo quanto abbia ricevuto da me e mio marito. Ma c’è anche quello cui sono particolarmente legata perché qualche anno dopo di me anche sua mamma ha avuto l’esperienza di un tumore al seno. Lui la incoraggiò a lottare raccontandole la mia storia. Aveva vissuto con me il periodo della mia malattia. Io e sua mamma siamo rimasti in contatto. È stata operata e ora anche lei ce l’ha fatta» racconta.

Giuseppina ha energie da vendere, si mette sempre al servizio degli altri, è nel suo Dna. E così ha anche fondato su Facebook un gruppo di sole donne, quasi quattromila, “Le toste, rinascita dopo il cancro al seno”, per combattere il cancro al seno con l’ironia, l’allegria e l’unione ma con due altre regole importanti: “gentilezza e cortesia”. «Mi sembrava il nome più adatto a descrivere donne che non si arrendono mai. Io ho cominciato quando sono arrivata al Nord da Campobasso costretta ad affrontare i pregiudizi della gente». E ora, grazie alla sua tenacia, aiuta tanti ragazzi affidatari e tante donne che lottano con il cancro al seno. Certo è davvero una tosta!

a cura di Lucio Buonanno

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