Tensioni, litigi, difficoltà a condividere spazi fisici e “psicologici”. La convivenza forzata e prolungata imposta dal lock down ha messo a dura prova molte coppie. Senza arrivare ai femminicidi, spesso protagonisti nelle cronache dei giornali anche in questo periodo, certo stare insieme 24 ore su 24, 7 giorni su 7, non sempre si è rivelato facile. Con ripercussioni non solo sulla salute della coppia stessa ma anche sul benessere psico-fisico dei partner. Se è capitato anche a voi, forse vale la pena di fermarsi un attimo a riflettere sul significato di matrimonio e ripartire da lì. Lo facciamo con Paolo Lorenzo Gamba, avvocato specializzato in diritto di famiglia.
Avvocato Gamba, partiamo dalla base: quali sono i diritti e i doveri in un matrimonio?
L’ordine delle parole ha un significato preciso, dire “diritti e doveri” è diverso che dire “doveri e diritti”. Quando parlo di un mio diritto pongo solo me al centro del discorso “è un mio diritto”, “ho il diritto di”; gli altri diventano “rapporti satellite” che devono svilupparsi secondo quella che è la mia volontà (spesso confondiamo la “volontà” con i “diritti”: voglio una cosa allora diventa un mio diritto, ma questo sillogismo è scorretto). Il “dovere” invece mi porta a compiere o non compiere un’azione, considerando l’altro come destinatario di un mio comportamento. Quando parliamo di un matrimonio diventa fondamentale anteporre i doveri ai diritti, perché con il matrimonio nasce un nuovo soggetto “la famiglia”, le cui “esigenze sono preminenti” rispetto a quelle del marito e della moglie (art. 144 Cod. Civ.). Questo ci aiuta anche a comprendere il differente presupposto giuridico tra un “matrimonio” e una “convivenza”. Nel primo caso, un uomo e una donna decidono di “sottoscrivere un contratto” (atto di matrimonio) che dà vita a un terzo soggetto (la famiglia) che ricomprende i due soggetti che hanno firmato il contratto e li impegna a cooperare per il sostentamento e nell’interesse della famiglia. Nel secondo caso, due persone decidono, anche implicitamente, per un “accordo di convivenza” nel quale esprimono i loro desideri “quello che vogliono dal rapporto” e, qualora l’altra parte sia in grado di soddisfare i miei desideri ed io i suoi, questo accordo è stipulato. In sintesi: il matrimonio è un “contratto collettivo”, la convivenza un “accordo individuale”, per la durata del matrimonio è necessario che le parti abbiano contezza del “quadro giuridico” nel quale si stanno muovendo e delle sue caratteristiche specifiche, diverse da quelle della convivenza che sovente lo precede. I diritti dei coniugi sono disciplinati dall’art. 143 Cod. Civ. che li stigmatizza “nell’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”. Alla luce del ragionamento fatto fino ad ora è facile intuire come gli obblighi all’interno del matrimonio siano per lo sviluppo e la tutela di quella relazione che è nata per generare la famiglia. In una convivenza (tranne nel caso dei contratti di convivenza) i soggetti potrebbero accordarsi, per le più svariate ragioni, anche perché nessuno di questi obblighi sia incluso nel loro accordo, lasciandosi così liberi da un obbligo di fedeltà, un obbligo di assistenza morale e materiale, un obbligo di coabitazione.
Nella sua esperienza quali sono gli elementi che generano più difficoltà relazionali e problemi all’interno di un matrimonio?
Il primo dei problemi deriva dalla mancanza di un progetto! Spesso ci si sposa perché in quel momento “si sta bene con l’altra persona”, come se lo “star bene” fosse l’unico criterio per giustificare una scelta di relazione stabile e duratura. Purtroppo anche lo “star male” può essere un elemento presente prima del matrimonio. Non lo si ascolta perché ormai “tutto è pronto...”, “quella è l’aspettativa dei genitori”, “cosa penserebbero gli altri...”, ci si racconta che “una volta sposati tutto si risolverà...”. La scelta matrimoniale per l’individuo è una scelta “traumatica” perché comporta un “cambiamento di stato” e, come ogni scelta che comporta un cambiamento fondamentale, acuisce le criticità che ci possono essere in ciascuno. Ecco allora che per superare quelle criticità, diventa fondamentale poter far ritorno alla ragione della propria scelta, che non può essere lo “star bene” (perché oggi “non sto più bene”), ma sarà il ritornare al “progetto” condiviso per costruire una famiglia e una vita insieme… il progetto come quell’elemento propulsivo della relazione per superare gli ostacoli e gli incidenti di percorso: se so dove andare, in un modo o nell’altro ci arriverò anche senza soldi; se non so dove andare anche con il migliore dei mezzi non riuscirò mai a raggiungere una meta (che non ho).
Comunione o separazione dei beni?
Comunione o separazione dei beni spesso si ritiene siano elementi estranei alla relazione, ma non è proprio così. Facciamo un test. Proviamo a chiedere a due fidanzati prossimi alle nozze “manca un mese al matrimonio, il/la tuo/tua fidanzato/a ti chiede 2.000,00 euro, dicendoti che non può assolutamente spiegarti il motivo, ma che glieli devi dare e fidarti di lui/lei: come ti comporti?”. Con la scelta del matrimonio si dà la propria vita all’altro, perché allora una richiesta “insignificante (una somma di denaro)” rispetto al valore della propria vita, può mettere “in crisi” il dono di sé? Concludo dicendo che non c’è una scelta giusta o una sbagliata, è la motivazione che conta, se scelgo la “separazione dei beni” per tutelare me stesso, forse è opportuno che ripensi alla mia scelta matrimoniale, se invece la scelgo per tutelare la famiglia da situazioni a rischio, diventa una scelta doverosa.
A cura di Giulia Sammarco
con la collaborazione dell'Avv. Paolo Lorenzo Gamba
Avvocato civilista presso Studio Legale Gamba, Cimini e associati di Bergamo