Ha corso i 100 chilometri del Passatore: un 72enne felice, una persona che – quando parla di corsa – emana energia serena, piacere di vivere e di scoprire.

Carlo Saffioti è un 72enne felice, una persona che – quando parla di corsa, anche al telefono – emana energia serena, piacere di vivere e di scoprire. Politico impegnato, psichiatra, ma soprattutto un uomo che ha trovato nella corsa qualcosa che fa parte in maniera indissolubile dello stile di vita: non solo per il fatto di occupare parte del proprio tempo in allenamenti e gare, ma soprattutto perché considera e vive la corsa come uno strumento di conoscenza di sé, degli altri, del proprio territorio d’origine, del mondo. Anche perché ha cominciato a correre quasi per caso: da medico accompagnatore aveva partecipato a numerosi trekking organizzati dalla Fondazione Bosis come formula terapeutica in luoghi straordinari come il Kilimangiaro o il Monte Rosa, ma l’esperienza più straordinaria era stata – sempre in questo ruolo di “supporto tecnico” alla spedizione – quella di raggiungere il campo base del K2 in occasione delle celebrazioni del cinquantesimo della spedizione italiana che aveva raggiunto la vetta himalaiana. Bene, al ritorno dal Karakorum amici podisti colgono la palla al balzo e lo invitano ad andare a correre con loro la maratona a New York, ma impegni elettorali gli impediscono di sfruttare la forma fisica e il carico di globuli rossi acquisito in altura.

Ma l’anno dopo non se lo lasciano sfuggire e lui, in compenso, pur lontano dalla forma post K2, non perde un colpo della carriera del neomaratoneta, compresa una pubalgia a un mese dalla maratona: tutti a casa, direbbero soggetti normali, ma sarà testardaggine, sarà la lidocaina, fatto sta che Saffioti in cinque ore e due minuti getta il cuore oltre il traguardo di Central Park. Una sofferenza, vera, ma anche la scoperta di una sensazione unica. Perché New York non è la maratona più bella corsa dal nostro “eroe”, ma è quella in cui si realizza la simbiosi fra una città e chi corre, in cui tutti coloro che corrono, che accompagnano, che assistono sono protagonisti alla pari di un colossale avvenimento collettivo.

Ma …cinque ore e due minuti: Carlo Saffioti è bergamasco e le radici della testardaggine e della determinazione sono solide. Per cui nei quattro anni successivi, con regolarità, si ripresenta sul Ponte di Verrazzano e abbassa il proprio personale portandolo nell’ultima edizione corsa nel 2011 al di sotto delle quattro ore, tre e cinquantatré, per l’esattezza, e non finisce lì, perché New York non è l’unica maratona al mondo, per cui comincia un turismo podistico che lo porta a Roma, a Berlino, a Valencia, dove fa il personale, tre ore e quarantasei, Istanbul… e quando torna dalla Perla del Bosforo fa i conti con il cuore e torna da un allenamento con la sensazione che le cose non funzionino troppo bene, risultato: uno stent e le due settimane più belle della sua vita in Clinica Quarenghi a San Pellegrino e… si riparte. Di nascosto, eh? Piccole camminate e corsette nel parco, ma “mola mia”.

Tanto che dopo cinque anni decide di partecipare alla corsa delle corse, il Passatore, i cento chilometri che uniscono Firenze a Faenza transitando per il Passo della Colla. E uno dice “Ma l’è mat!” e invece no, uno psichiatra che fa il Passatore non è matto, è innamorato. Di che cosa? Della scoperta del nuovo, delle proprie capacità, del proprio senso di dedizione e determinazione che lo porta ad allenarsi nei dintorni di Zingonia in orari in cui il marciapiede corre il rischio di essere occupato, ma non da automobili. Quattro uscite alla settimana, “lunghissimi” anche notturni, fatica di gambe e fatica psicologica nel reggere mesi di avvicinamento alla manifestazione.

E poi? E poi diciotto ore passate a correre, a camminare, a prendere acqua torrenziale dal Passo della Colla in avanti, per arrivare dove? All’abbraccio con la compagna che ti aspetta all’arrivo, dopo un viaggio, non una corsa o una gara, un viaggio dentro sé stessi e la natura, il giorno, la notte, il caldo, il freddo, i campi il bosco, i paesi, la campagna. Volete mettere? E alla fine uno se lo spiega perché correre, a New York, a Bergamo, a Faenza, ad Atene: perché chi corre viaggia, vede cose che chi sta fermo o chi si muove troppo velocemente non può vedere, non riesce a vedere perché non ne ha il tempo o la pazienza di andare al ritmo delle proprie gambe alla scoperta del mondo, degli uomini e della natura.

A cura di Claudio Gualdi
In questa rubrica gli operatori sanitari (medici, infermieri etc.) si raccontano, facendo conoscere oltre al loro lato professionale la loro attività di artisti, volontari, atleti...
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