Una relazione che tutte le donne dovrebbero ben conoscere, con l’aiuto del medico di medicina generale e del farmacista.
L’osteoporosi è una malattia di grande rilevanza sociale la cui diffusione, strettamente legata al progredire dell’età, è in costante e rapido aumento, di pari passo con l’aumento dell’età media della popolazione. Per affrontarla al meglio il medico di base è il naturale referente. È con lui che bisogna instaurare tempestivamente un dialogo, prima dell’insorgere dei sintomi che possono farne sospettare la presenza: sintomi che spesso sono assenti anche con una osteoporosi già in atto. Con il proprio medico si potrà impostare correttamente sia un programma di prevenzione sia di cura. Accanto a lui però il farmacista può rappresentare un punto di riferimento per avere informazioni che possano aiutare a intraprendere un corretto stile di vita, chiarimenti di natura farmacologica sulle terapie e anche indicazioni per la prenotazione e l’esecuzione di esami utili per diagnosticare precocemente la malattia e tenerne sotto controllo l’eventuale evoluzione. Ne parliamo con il dottor Maurizio Pagnoncelli Folcieri, presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo.
Dottor Pagnoncelli, che cosa è l’osteoporosi?
Si tratta di una malattia sistemica dello scheletro, caratterizzata dalla riduzione della massa minerale e dal deterioramento microstrutturale del tessuto osseo, che riguarda circa 1 milione di uomini e 3,5 milioni di donne. La sua conseguenza immediata è la maggior fragilità delle ossa e l’aumento del rischio di fratture. Si stima che in Italia si verifichino ogni anno 100-110.000 fratture del polso e 60-70.000 del femore dovute a osteoporosi. In età avanzata la frattura del femore determina spesso una netta riduzione dell’indipendenza nella persona e un’elevata mortalità (fino al 30%) entro i 12 mesi successivi alla frattura. Siamo abituati a considerare l’osso come la struttura statica per eccellenza del nostro corpo. In realtà l’osso è un tessuto dinamico in costante rimaneggiamento: nutrito dal sangue, riceve di continuo materiale con cui forma nuovo tessuto osseo, in sostituzione di quello “invecchiato” che viene distrutto. Due tipi di cellule, gli osteoblasti e gli osteoclasti, regolano rispettivamente il depositarsi del Calcio nelle ossa e il suo prelievo. Sia nell’uomo sia nella donna, all’incirca dopo i 50 anni, cominciano a prevalere fenomeni di riduzione della massa ossea rispetto a quelli di neoformazione, con il conseguente indebolimento della struttura. Questa situazione è la premessa di un inevitabile incremento del rischio di fratture. Così l’incidenza dell’osteoporosi (e delle conseguenti fratture osteoporotiche) aumenta con l’età, arrivando a interessare più del 50% degli ultraottantenni.
Quali sono i fattori di rischio che possono favorire questo processo?
Per la donna entrano in gioco cause aggiuntive (rispetto a quelle anagrafiche). Si definisce così il quadro della osteoporosi post-menopausale, nella quale interviene come ulteriore fattore determinante la diminuzione degli ormoni estrogeni che si verifica con la menopausa. Gli estrogeni infatti, fra le altre funzioni, esercitano anche quella di controllo sull’attività degli osteoclasti. Il loro venir meno determina, già nei primi tre anni dall’instaurarsi della menopausa, la perdita di circa il 10% della massa ossea, principalmente a carico di vertebre e polso, in minor misura a carico delle ossa lunghe. Esistono anche sia una predisposizione genetica sia fattori di rischio aggiuntivi, che incrementano il rischio di osteoporosi e di fratture osteoporotiche: per esempio prolungati trattamenti cortisonici, insufficiente apporto di Calcio o di Vitamina D, fumo, eccessivo consumo di alcoolici.
Come si può prevenire?
Innanzitutto bisogna eliminare i fattori di rischio (fumo, sedentarietà, abuso di alcool etc.). Importante sono poi l’apporto dietetico di Calcio e di Vitamina D, un’attività fisica adeguata alle proprie condizioni fisiche e di età (il movimento favorisce la neoformazione di tessuto osseo) ed eventuali terapie, in particolare con una supplementazione farmacologica di Calcio e Vitamina D e l’uso di farmaci capaci di limitare la perdita di massa ossea (solitamente molecole della classe dei Bifosfonati). Infine un programma di valutazione e di monitoraggio della propria massa ossea (MOC). Grazie al basso costo e alla relativa accessibilità di questa tecnica diagnostica, si tende oggi a utilizzarla come screening di primo livello, eseguendo la prima determinazione intorno ai 65 anni (purché non vi siano fattori di rischio che ne consigliano l’uso più precoce) ed effettuando analisi di controllo ogni 18/24 mesi.
a cura DI GIULIA SAMMARCO
DOTT. MAURIZIO PAGNONCELLI FOLCIERI
Farmacista
Presidente dell’Ordine dei Farmacisti di Bergamo