Solo proteine. Niente carboidrati. Solo frutta e yoghurt. Niente latte e latticini. Quando si vuole dimagrire spesso si è disposti a eliminare dalla propria alimentazione una serie di alimenti o ad assumerne solo alcuni, inseguendo la moda del momento. Con il risultato che magari qualche chilo si riesce a perdere, però poi, quando si molla, si riprende nel giro di poco tempo e anche con gli interessi. Ma se il segreto del successo di una dieta, soprattutto a lungo termine, non fosse quello che si mangia (o almeno non solo) ma come lo si mangia? «Spesso coloro che decidono di intraprendere una dieta si concentrano molto su cosa mangiare (questo cibo va bene, quest’altro no), tralasciando di lavorare sull’ascolto dei segnali corporei, sui pensieri, stati emotivi, comportamenti personali e. condizionamenti esterni che possono influenzare la ricerca e il consumo di cibo. Ad alcune persone, ad esempio, può succedere dopo una lunga giornata di lavoro di mangiare patatine senza rendersi conto né del sapore, né della quantità, né del proprio livello di fame» osserva la dottoressa Pamela Tassetti, psicologa alimentare e psicoterapeuta.
Dottoressa Tassetti, come si può fare ad acquisire uno stile alimentare sostenibile nel medio-lungo periodo e che garantisca il mantenimento di un benessere psico-fisico?
Può venire in aiuto la Mindful Eating, un approccio innovativo che applica i principi della Mindfulness all’alimentazione, attraverso un protocollo specifico (MB- EAT), elaborato da Jean L. Kristeller nel 1999. Si tratta di una strategia terapeutica non prescrittiva: la Mindful Eating non dice cosa mangiare e cosa no, non è una dieta (ma può rappresentarne un valido supporto); insegna alle persone a disattivare il pilota automatico e ad acquisire maggiore consapevolezza dei propri segnali corporei ed emotivi, per arrivare a fare scelte alimentari più libere, funzionali alla salute. In altri termini scelte più “sagge” e meno impulsive. Ecco perché risulta indicata sia per il trattamento di Disturbi del Comportamento Alimentare (Bulimia, BED, Sindrome da alimentazione notturna) e della fame emotiva sia di patologie croniche (diabete, sindrome del colon irritabile, ipertensione, insufficienza renale, celiachia, allergie alimentari). Rappresenta, inoltre, uno strumento efficace anche per chi, pur non manifestando una problematica alimentare, desidera migliorare il rapporto con il cibo e con il corpo.
Secondo la definizione di Jon Kabat-Zinn, uno dei pionieri di questo approccio nel mondo occidentale, Mindfulness significa porre attenzione in un modo particolare: intenzionalmente, nel momento presente e in modo non giudicante
Ma cosa vuol dire mangiare consapevolmente? E come si può imparare?
Coinvolgendo i cinque sensi. La Mindful Eating amplifica l’esperienza alimentare immergendo la persona nei colori, profumi, suoni, consistenze e sapori di ciò che mangia e beve. Con uno sguardo aperto e curioso si osservano le reazioni che il cibo suscita, momento per momento, in termini di fame, sazietà, pienezza e piacere. Partendo dalla cura del contesto e del modo in cui ci si approccia al momento del pasto, s’impara a porsi le giuste domande al fine di scegliere e cucinare ciò che nutre corpo e mente perché, è bene ricordarsi che, il cibo soddisfa sia un’esigenza fisica sia emotiva. Attraverso la Mindful Eating si acquisiscono gradualmente quelle che vengono definite le sette abilità del mangiatore consapevole:
> saper osservare (con uno sguardo imparziale si colgono sensazioni corporee, emozioni, pensieri connessi al modo di alimentarsi);
> essere consapevole di sé (attraverso l’utilizzo dei cinque sensi si coglie cosa il cibo suscita in termini di fame, sazietà, pienezza e piacere, sia a livello fisico sia mentale);
> essere nel momento presente (vivere ogni pasto come un’esperienza nuova, unica ed appagante, in cui mente e corpo collaborano per scegliere come nutrirsi);
> essere consapevole del contesto (ridurre le distrazioni, saper cogliere gli elementi che possono innescare un’alimentazione inconsapevole);
> non giudicarsi (adottare uno sguardo più benevolo e comprensivo verso se stessi, imparando che non esistono cibi “buoni” o “cattivi” in assoluto);
> lasciare andare (emozioni, pensieri e persone che non si possono controllare);
> saper accettare (ciò che c’è e che si è, nel qui e ora, con uno sguardo proattivo verso un miglioramento).
“La Mindful Eating è un cammino, non una meta”. La si può apprendere attraverso una pratica diretta, continua, guidata da un trainer psicologo, appositamente formato. I principi appresi potranno essere estesi anche ad altre sfere della propria quotidianità, arrivando a costruire abitudini, non solo alimentari ma di vita, più in linea con i propri bisogni fisici ed emotivi.
Perché è così difficile “difendere” i chili persi
Si stima che, a quattro anni e mezzo dalla conclusione di un programma dimagrante, le persone mantengono in media una perdita di peso di 3 kg, pari al 3.2% della riduzione dal peso di partenza (Priya Sumithran P., Proietto J., 2013). Questa difficoltà di mantenimento del peso acquisito è determinata dall’integrazione di fattori biologici, ambientali e psicologici (Dalle Grave, 2010). È stato dimostrato, infatti, che l’organismo umano possiede un’innata capacità di autoregolarsi: quando si verifica una diminuzione di peso, tende ad attivare difese biologiche per salvaguardare il proprio funzionamento, con l’obiettivo di ripristinare i livelli di peso iniziali. Da non sottovalutare è anche l’esposizione continua a cibi economici e/o appetibili e a informazioni fuorvianti intorno all’alimentazione e all’immagine corporea. I canoni di bellezza esaltati dall’odierna società spingono sempre più persone a porsi obiettivi irrealistici e insostenibili rispetto al proprio peso, con una crescente insoddisfazione personale e un vissuto d’inadeguatezza.
A cura di Elena Buonanno
con la collaborazione della dott.ssa Pamela Tassetti
Psicologa e Psicoterapeuta a Bergamo e Azzano San Paolo