Si stima che in Italia la prevalenza di emicrania sia pari a circa il 25 %, con un rapporto donna uomo pari a 3 a 1. L’emicrania si distingue in “episodica” quando gli attacchi si presentano fino a 14 giorni al mese e “cronica” quando gli attacchi superano i 15 giorni al mese per almeno tre mesi. Si stima che il 2% della popolazione italiana sia affetta da cefalea cronicizzata. I costi sociali ed economici della cefalea sono quindi enormi. Uno studio del 2018 condotto dall’Istituto Superiore di Sanità evidenzia che il costo totale dell’emicrania in Italia ammonti a circa 20 miliardi di euro all’anno di cui il 93% correlato a costi indiretti quali la ridotta produttività. Peraltro solo l’1,6% della popolazione riceve adeguate cure preventive a causa di un’inadeguata sensibilizzazione verso il problema. È in questo scenario che si colloca la cosiddetta “cefalea di rimbalzo”, mal di testa legato all’abuso di farmaci antidolorifici, spesso assunti con il “fai da te” e senza controllo medico.

FARMACI E DOLORE: QUANDO IL CIRCOLO DIVENTA VIZIOSO
Per cefalea di rimbalzo si intende il “mal di testa” correlato a un eccessivo consumo di farmaci analgesici, comunemente utilizzati nel trattamento dei sintomi dell’emicrania. In circa il 4% dei pazienti emicranici si può creare un loop fra assunzione eccessiva di analgesici e un peggioramento della frequenza e della intensità delle crisi, contribuendo di fatto alla cronicizzazione del disturbo e a un crescente “bisogno” di analgesici, creando una vera e propria sindrome da “abuso” di farmaci con le complicanze psicologiche e internistiche correlate. Alcuni studi hanno dimostrato che l’uso di antidolorifici per più di due volte a settimana può portare alla cefalea di rimbalzo.

IL RISCHIO? SI CORRE CON TUTTI GLI ANALGESICI
Non è chiaro quale sia il meccanismo con cui il farmaco assunto per alleviare il dolore interagisca con la biologia del paziente e se vi siano dei fattori “predisponenti”. Quello che si è visto è che tutti i farmaci analgesici possono essere causa di cefalea di rimbalzo se assunti con regolarità e frequentemente, ovvero con uso per più di 15 giorni al mese: analgesici semplici “da banco” come acido acetilsalicilico (aspirina), paracetamolo, e i farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans), di cui forse il più usato è l’ibuprofene. Rimbalzo ci può essere anche con farmaci più specifici quali gli ergotaminici, i triptani e gli oppioidi (con uso per più di 10 giorni al mese). La letteratura evidenzia inoltre una maggior frequenza di cefalea di rimbalzo nei consumatori di analgesici misti (cioè quelli che nel foglietto illustrativo contengono diverse sostanze).

I sintomi
Sono gli stessi di altre forme di emicrania ma possono variare per intensità e durata. In particolare la cefalea di rimbalzo può essere sospettata quando l’assunzione degli analgesici si accompagna a un aumento della frequenza degli attacchi fino a arrivare alla cronicizzazione. Ricordiamo che i sintomi dell’emicrania non sono solo il dolore compressivo o pulsante frontale, laterale od occipitale ma anche nausea, vomito, vertigini, fastidio per la luce e i suoni. Nelle cefalee di rimbalzo in molti casi si associano anche ansia, irritabilità, depressione, disturbi del sonno e difficoltà a concentrarsi.

L’IMPORTANZA DI UNA CURA MULTIDISCIPLINARE
Il trattamento della cefalea di rimbalzo deve essere eseguito presso Centri Cefalea che possono garantire un approccio multidisciplinare. Consiste innanzitutto nella sospensione dell’assunzione di tutti i farmaci analgesici. In caso di dipendenza vera e propria, gli effetti organici provocati dalla sospensione dei diversi tipi di analgesici devono essere attentamente monitorati dal neurologo curante esperto in cefalee eventualmente in team con altri medici specialisti. Bisogna sempre considerare anche eventuali altre dipendenze (alcool, stupefacenti, tabagismo). Fondamentale è la valutazione del profilo di personalità e dello “stato” psicologico del paziente cercando di correggere con terapia cognitivo-comportamentale gli aspetti più preoccupanti. Nei casi più complessi quando ci sono co-morbidità o quando la disintossicazione da farmaci deve essere attentamente monitorata è indicato il ricovero ospedaliero in ambito riabilitativo con piano individuale e un programma riabilitativo personalizzato che prevede sospensione del farmaco, monitoraggio degli effetti, introduzione di adeguata terapia di profilassi, colloqui psicologici, interventi educazionali, correzione delle abitudini alimentari, trattamento fisico o massaggi terapeutici, tecniche di rilassamento e biofeedback. Le figure previste nell’equipe possono essere, oltre al neurologo esperto in cefalee, il medico internista, lo psicologo, il fisioterapista, il dietista, l’educatore professionale. È sempre importante valutare anche il contesto sociale e familiare del paziente, allargando l’educazione a un corretto stile di vita anche ai familiari. Sono infatti molto frequenti le “ricadute” una volta rientrati nel contesto quotidiano.

LA PREVENZIONE: NON SOTTOVALUTARE ED EVITARE IL “FAI DA TE”
Il primo consiglio è non sottovalutare i sintomi e consultare un neurologo esperto in cefalee quando le crisi emicraniche non sono occasionali ma si presentano regolarmente, per impostare un’adeguata terapia di profilassi ed evitare l’assunzione di analgesici fuori controllo medico. Il medico fornirà inoltre un diario cartaceo o elettronico con cui monitorare l’andamento delle crisi e del consumo di analgesici e intervenire tempestivamente. È opportuno condurre uno stile di vita regolare evitando, ove possibile, le situazioni stressanti, ridurre il consumo di alcol e il fumo, adottare una dieta equilibrata e praticare un regolare allenamento fisico di resistenza (nordic walking, nuoto, podismo, ciclismo).

A cura del Dott. Daniele Bosone
Specialista in Neurologia e Igiene
Istituto Clinico Quarenghi
San Pellegrino Terme